Scriviamo a pochi giorni dall’approvazione alla Camera della “Buona scuola”. Alcune cose già sono chiare: la prima è che l’opposizione della cosiddetta sinistra del Pd è inesistente, a tratti grottesca, in ogni caso inutile per una lotta seria contro la progressiva privatizzazione della scuola; la seconda è che la partita messa in campo dai docenti e appoggiata dagli studenti contro la riforma è ancora tutta aperta e certo non terminerà con la chiusura di quest’anno scolastico.
Dallo sciopero del 5 maggio ai presìdi convocati territorialmente nei giorni immediatamente precedenti alla votazione a Palazzo Madama, si è espressa da parte dei lavoratori della scuola la ferma volontà di non retrocedere di un passo.
Neanche la cancellazione dalla riforma della possibilità del finanziamento alla scuola attraverso il 5 per mille, utilizzata da Renzi per dimostrare un’illusoria volontà di dialogo, è stata in grado di placare gli animi. Quello che né Renzi né la minoranza del Pd capiscono è che la riforma non può essere accettata. Cuperlo, in alleanza con l’ala bersaniana del Pd, ha sottoposto all’attenzione dei parlamentari una lettera, non vincolante rispetto al voto, contenente gli emendamenti alla “Buona scuola”. Nulla meglio dei fischi a Fassina del presidio fuori Montecitorio può sintetizzare l’opinione dei giovani e degli insegnanti a questa trovata insignificante.
La riforma strutturalmente non va. Questo è il punto. Non va perché ci priva delle briciole che sono rimaste dopo vent’anni di controriforme. Il colpo affonda soprattutto per i docenti e la cosa che preoccupa maggiormente è che le modifiche che intercorreranno per i lavoratori della scuola aprono la strada a futuri cambiamenti anche per tutti gli altri dipendenti pubblici. Uno su tutti riguarda l’articolo della “Buona scuola” che prevede la messa in rete del curriculum degli insegnanti che verranno assunti con il metodo della chiamata diretta dal preside.
Il dirigente scolastico nei fatti prenderà il controllo gestionale e didattico della scuola, senza il benché minimo contraltare, dato che gli organi collegiali vengono ridimensionati dalle forti logiche gerarchiche presenti nel disegno renziano. Il progetto berlingueriano è arrivato a compimento: il preside diventa uno sceriffo!
La battaglia contro l’autoritarismo mai come in questo caso diventa un punto di unità incontrovertibile delle lotte degli studenti e degli insegnanti. L’estremo potere che assume il dirigente scolastico passa per la scelta del corpo docenti, per la sua decisione dei piani di offerta formativa e per la determinazione delle attività didattiche così come anche per il controllo sul diritto allo studio degli studenti. I semi di tutto questo sono già presenti nelle nostre scuole. Basti pensare alla campagna fatta quest’anno dai presidi nel napoletano tesa a criminalizzare le attività dei collettivi studenteschi o più recentemente alle decine di ammonizioni agli studenti che hanno boicottato i test Invalsi (a Pisa 25 ragazzi sono stati accusati di danno alla proprietà pubblica, mentre a Bologna uno studente rischia la sospensione). Dalla non autorizzazione alle assemblee di istituto, alla requisizione di oggetti personali o alla presenza di vigilanza privata fuori le scuole, gli esempi che potremmo fare sarebbero infiniti. La regola generale che questa riforma adotta recita che la scuola è del preside e di nessun altro.
Tutto questo non avviene però nel silenzio, anzi. La mobilitazione messa in campo in queste settimane non si presentava in questi termini da tempo ormai. Il problema è come continuarla, con l’obiettivo non solo del ritiro della riforma ma con la cacciata di questo governo. Allo sciopero del 5 maggio si è fatta largo la parola d’ordine del blocco degli scrutini, a cui i vertici sindacali hanno risposto solo parzialmente.
La lotta deve andare fino in fondo: ecco perché l’esclusione dal blocco per le classi di fine ciclo rappresenta un errore. Errore nel quale Susanna Camusso persevera quando, di fronte alla più grande mobilitazione degli ultimi vent’anni, dichiara una misera ora di sciopero all’apertura degli scrutini abbandonando di fatto gli insegnanti che oggi sono in lotta. I principali sindacati della scuola, Flc in primis, devono farsi carico del rifiuto dei docenti e organizzare il conflitto istituto per istituto senza cedere di un solo passo.
Così come gli studenti non possono limitarsi a rivendicare una revisione del testo, per quanto radicale possa essere, ma si devono porre su un terreno di scontro frontale contro il governo. Renzi potrà perdere tutto il tempo che vuole per spiegarci alla lavagna quanto sia centrale il ruolo del preside per rilanciare la scuola pubblica o quanto l’autonomia scolastica sia sinonimo di libertà, ma tutto questo non attecchirà. Il rifiuto della riforma deve andare di pari passo con la sostituzione del dirigente scolastico, figura assolutamente superflua, con quella di un coordinatore scelto tra gli insegnanti e revocabile in ogni momento. Lottare per ottenere la scuola che vogliamo è un obiettivo non rimandabile, condurre la battaglia con gli insegnanti è uno strumento al quale non possiamo rinunciare.