Come era facile prevedere l’accordo del 14 luglio non ha risolto nulla e quindi non ha messo fine alla lotta dei lavoratori della Gfe, pur avendola costretta ad uno stallo. Anche se una fermata era forse inevitabile, dopo un percorso così lungo e difficile.
La lotta della Gfe inizia infatti nel luglio del 2010, quando i lavoratori decidono di scioperare per ottenere l’adeguamento al contratto collettivo nazionale di lavoro. In un primo momento riuscivano anche a vincere. Ma una trappola era dietro l’angolo. L’appalto con Snatt, la ditta per cui Gfe aveva in gestione la movimentazione merci nei magazzini, scadeva a novembre. A quel punto i dirigenti della cooperativa decidevano di temporeggiare fino alla scadenza dell’appalto, lasciarlo cadere, fondare due nuove cooperative, a cui Snatt poi affidava il nuovo appalto. Ai lavoratori sindacalizzati e più combattivi veniva comunicato tramite sms di non presentarsi al lavoro il giorno seguente, mentre tutti gli altri venivano assunti dalle due nuove coop, chiaramente senza Ccnl.
Circa 200 lavoratori, quasi tutti immigrati provenienti dall’India, si trovavano quindi espulsi da un giorno all’altro dal proprio posto di lavoro, pur essendo ancora formalmente dipendenti della cooperativa, ormai priva però dell’unico appalto che le forniva lavoro. Da quel momento inizia una lotta spietata e assolutamente sproporzionata, che costerà ai lavoratori enormi sacrifici. Ma inizia anche un lungo braccio di ferro con il sindacato.
I vertici della Filt-Cgil, infatti, capendo quale bomba a orologeria si trovassero tra le mani hanno cercato fin da subito di disinnescarla. Non si poteva certo permettere a una manciata di operai immigrati di far saltare l’intero sistema cooperativistico emiliano. Perché questa era la posta in gioco. Questa era la battaglia che i lavoratori Gfe avevano di fronte e dalla quale non si sono mai tirati indietro. Nonostante l’evidente sproporzione di forze, i lavoratori sono sempre stati determinati a portare fino in fondo la loro lotta. Lo stesso non si può dire per il sindacato, che fin dal primo momento ha gestito questa vertenza in modo verticistico e moderato, osteggiando apertamente ogni tentativo di allargamento della lotta.
I dirigenti della categoria speravano di risolvere la cosa alla svelta, con il presidio permanente davanti ai cancelli della Snatt e con una causa in tribunale. Questo atteggiamento, mentre tradiva la loro totale sfiducia nei confronti dei lavoratori, condannava però la lotta a lunghi mesi di isolamento e di attesa. Tanto che i lavoratori, a primavera, ormai esasperati decidevano autonomamente di entrare in sciopero della fame. Con questo gesto riuscivano a ottenere un tavolo istituzionale con la Provincia, il cui unico effetto era però quello di allungare ancora di più i tempi. Solo a giugno, i vertici sindacali, per evitare un altro sciopero della fame, decidevano di occupare insieme ai lavoratori la sala consiliare della Provincia e di chiamare lo sciopero generale.
Finalmente il sindacato si muoveva, ma dopo quanto tempo? Nove lunghissimi mesi, con i lavoratori ormai allo stremo delle forze e nessuna rete di solidarietà costruita nel frattempo. L’esito del 14 luglio a quel punto era inevitabile. Per non fare uno sciopero fallimentare, il sindacato si affrettava a firmare un accordo che non conteneva nessuna delle rivendicazioni avanzate dai lavoratori.
Non si parlava di Ccnl e la riassunzione in Snatt era prevista solo per 40 lavoratori. E oggi, a distanza di due mesi, neanche quel poco è stato applicato. Niente di niente. Dove sono adesso quei grandi dirigenti sindacali che difendevano a spada tratta l’accordo, attaccando strumentalmente chiunque osasse criticare? Che piaccia o no, la lotta non è finita, perchè la rabbia dei lavoratori Gfe non può essere nascosta sotto il tappeto.