A breve il direttivo nazionale della Cgil si riunirà per dare avvio ai lavori preparatori del diciasettesimo congresso della Cgil. Congresso che cade in un momento estremamente difficile per le sorti della classe lavoratrice.
Siamo nel mezzo della più devastante crisi economica che il paese abbia mai conosciuto dal dopoguerra. Crisi che dura da oltre sei anni e di cui non si vede assolutamente la fine. In questi sei anni la classe lavoratrice italiana, come quella della maggior parte dei paesi al mondo, ha pagato un prezzo altissimo.
Un bilancio fallimentare
Davanti a un attacco di tale portata abbiamo bisogno di un’organizzazione sindacale, la Cgil, in grado di dare risposte e un programma rivendicativo e di mobilitazione adeguato.
Assistiamo invece per l’ennesima volta alla rincorsa a Confindustria e ai vertici di Cisl e Uil. Vedi l’ultimo episodio avvenuto lunedì 2 settembre dove la Camusso ha firmato un documento iinsieme a Bonanni, Angelletti e Squinzi in cui chiedono al governo Letta-Alfano nuovi provvedimenti per l’occupazione e la crescita del paese. Documento che, sfoltito da titoli e sottotitoli ambiziosi, nella sostanza si riduce fondamentalmente alla solita lista di richieste al governo di turno.
Più investimenti per innovazione e sviluppo, per la green economy, abbattimento del costo dell’energia e poi la solita sfilza di sussidi e sgravi fiscali a pioggia per i padroni.
Come già abbiamo scritto nella scorsa edizione, il bilancio dell’operato di questo gruppo dirigente è fallimentare per l’inadeguatezza nel fronteggiare la crisi, per gli accordi firmati e anche per quanto lasciato sul campo senza neanche combattere su pensioni e articolo 18. Inadeguatezza denunciata a più riprese in questi anni da molti dirigenti, da Cremaschi (leader della Rete28aprile) a Rinaldini (che ha coordinato quella che doveva essere l’opposizione in Cgil), fino ad arrivare al dirigente nazionale sicuramente più autorevole, il segretario della Fiom Landini. Se, da parte di Cremaschi, alle critiche non è mai seguita una reale capacità di incidere nei rapporti di forza, da parte di Landini e Rinaldini non è mai stata offerta una linea alternativa a quella della Camusso. Tanto che negli ultimi mesi si sono allineati alla maggioranza, vedi l’accordo del 31 maggio.
Il disagio per tale inadeguatezza emerge tuttavia un po’ in tutti i settori di vertice della Cgil, anche tra dirigenti fino a ieri strenui difensori della “linea” di maggioranza: dalla segretaria del sindacato dei pensionati (categoria che da sola fa oltre la metà degli iscritti alla Cgil), ai segretari della Filcams (commercio), della Funzione pubblica e scuola. Una nutrita squadra di categorie che sulla carta rappresenta un’ampia maggioranza degli iscritti, ma che nella sostanza in nulla (escluse alcune vertenze dei metalmeccanici) si sono distinte come operato in questi anni.
L’insofferenza che emerge è dettata dalla consapevolezza che in questi quattro anni, come del resto con la precedente segreteria Epifani (ora segretario del Partito democratico) la Cgil, nonostante la sua potenziale forza, non ha portato a casa nulla.
Ad oggi non è ancora dato sapere se questo malessere convergerà in una coalizione congressuale che attraverso emendamenti o tesi alternative tenterà di condizionare i futuri assetti della Cgil. Una cosa però è certa, non sarà un emendamento sulla contrattazione o sulle rivendicazioni a cambiare il corso moderato intrapreso dalla Cgil. Anzi, il fatto che un dirigente come Landini, che si è costruito un autorità tra i lavoratori anche nei conflitti passati con la Camusso, si presti a questo tipo di “strategie” non contribuirà nei fatti a rinnovare la Cgil ma a perpetuare questa deriva moderata.
Se si esclude la Rete28aprile, nessun altro finora si è espresso per un documento alternativo a quello che presenterà la Camusso. Documento che, visto il quadro, dovrebbe essere più che necessario.
L’alternativa necessaria
Un documento alternativo significa in primo luogo un’opportunità per promuovere nelle assemblee congressuali (regolamento permettendo) una posizione che, ora come ora, non può ambire a dirigere la Cgil, ma che deve essere un primo mattone per ricostruire un opposizione che si svilupperà, si radicherà e crescerà nella misura in cui il malessere, la rabbia dei giovani e dei lavoratori esploderà con il conflitto sociale.
Ogni giorno ci vengono imposti conti sempre più salati per l’ennesimo “risanamento” delle finanze statali. Una politica autenticamente alternativa significa rompere con queste compatibilità, cioè non pagando il debito in mano alle grandi istituzioni finanziarie. Qui stanno parte delle risorse per il contratto dei lavoratori pubblici, per impedire la chiusura degli ospedali e il taglio dello stato sociale, o i licenziamenti di massa che stanno preparando nell’amministrazione pubblica.
Del tutto inadeguata si è dimostrata la politica che il gruppo dirigente ha contrapposto finora alle numerose crisi industriali che si sono già verificate nel corso degli ultimi anni. Alla collaborazione di classe va contrapposto il conflitto sociale. Nessun padrone o governo concederà mai nulla con le buone, è la spietata concorrenza del mercato mondiale che lo impone. Un sindacato che voglia realmente difendere i lavoratori deve partire da questo punto imprescindibile. Perciò la prima questione è che nessun posto di lavoro deve essere messo in discussione. Non è ammissibile che, nella misura in cui il padrone annuncia la crisi aziendale e i conseguenti esuberi, l’unica strategia sia quella di trattare sul numero degli esuberi e ammortizzatori, o in caso di chiusura si proponga la ricerca di un nuovo padrone o la ricollocazione dei lavoratori in altre aziende. La riduzione d’orario di lavoro a parità di salario, la redistribuzione del lavoro tra tutti i lavoratori, l’esproprio delle aziende laddove quelle misure non sono sufficienti, sono rivendicazioni indispensabili che, nel congresso della Cgil, non possono essere ignorate. Di fronte a crisi come quella della Fiat, o a delocalizzazioni che lasciano il deserto produttivo, espropriare l’azienda prima che venga ridotta a una scatola vuota è una misura difensiva indispensabile per potere costruire qualsiasi alternativa sul piano industriale.
Tutto ciò è possibile nella misura in cui però i lavoratori si riapproprieranno delle vertenze e dell’organizzazione. La questione della democrazia sindacale nei luoghi di lavoro e nel sindacato sono decisive. Il concetto di democrazia è ben altra cosa rispetto a quanto definito nell’accordo sulla rappresentanza del 1993, e nelle vergognose modifiche con l’accordo del 31 maggio 2013. La democrazia nei luoghi di lavoro non può essere ridotta a semplice consultazione che nei casi più fortunati prevede un voto. I lavoratori devono avere la possibilità di poter partecipare attivamente alla stesura delle piattaforme ed esercitare un reale controllo sulle strutture sindacali. Eleggere i propri delegati e anche i funzionari col principio una testa un voto potendoli revocare in qualsiasi momento.
Su queste basi allora anche la lotta e la mobilitazione possono acquisire quel ruolo che troppo spesso i dirigenti hanno svuotato di efficacia in questi anni. L’unica arma che hanno i lavoratori per difendersi dai soprusi padronali è quella dello sciopero. Perché questo strumento sia efficace è necessario inserire le mobilitazioni in una strategia che colpisca la controparte nei suoi punti più deboli. I lavoratori sono stanchi di scioperi testimoniali e rituali. Gli scioperi generali devono inserirsi in un contesto di mobilitazioni che mirano a colpire la controparte lì dove fa più male, con forme di lotta più radicali e più incisive. Questo è possibile solo se c’è un ampio coinvolgimento dei lavoratori.
Solo così non sarà vanificato il sacrificio e la determinazione che tanti delegati e militanti, della Fiom come di tante altre categorie, hanno profuso in questi anni tentando di resistere al padronato.
Ed è su queste basi che anche l’unità tra i lavoratori, iscritti o meno ai sindacati confederali o extraconfederali, avrà una base solida su cui rafforzarsi.
La nostra battaglia congressuale è per un sindacato democratico, combattivo e con una politica di classe. Così potremo preparare una vera alternativa alla politica concertativa che persegue l’attuale direzione della Cgil.