Con il direttivo nazionale di luglio si aprirà il percorso del prossimo congresso Cgil. Il calendario sarà stabilito a settembre, è comunque confermata l’intenzione della Camusso di rispettare i tempi statutari. Entro l’autunno i documenti congressuali, tra dicembre e l’inizio del 2014 i congressi di base, entro l’inizio dell’estate quello nazionale.
Il congresso è il momento in cui un’organizzazione definisce la propria linea strategica e rivendicativa. Per farlo, si deve partire da un serio bilancio di ciò che è stato fatto. Il bilancio di questi quattro anni è disastroso.
Non è stato fermato nessuno degli attacchi antioperai di Marchionne, Confindustria e dei governi Berlusconi e Monti. Si è lasciato sul campo di battaglia l’articolo 18 senza lottare, si è messo in campo un tentativo di resistenza ridicolo contro il peggior attacco alle pensioni che la storia ricordi. Non si è fermata l’emorragia di posti di lavoro, non si è contrastato il precariato, i salari sono arretrati ulteriormente. Il contratto dell’impiego pubblico era e resta bloccato.
Contro Berlusconi scioperi inefficaci, contro il governo Monti neanche gli scioperi inefficaci. E ora con il governo Letta-Alfano, ovvero l’austerity tanto cara al Partito democratico e l’arroganza padronale interpretata al meglio dal Pdl, la Cgil sta a guardare e spera. Anzi promuove con Cisl e Uil l’unità nazionale in salsa sindacale. Ed ecco che l’unità sindacale partorisce da subito un nuovo accordo capestro per i lavoratori, quello del 31 maggio che limita la democrazia nei luoghi di lavoro, conferma la derogabilità dei contratti nazionali prevista dall’accordo del 28 giugno del 2011 e sdogana sanzioni verso i lavoratori anche nel settore privato.
Una battaglia per invertire la rotta è quindi più che mai necessaria. Ma chi la condurrà?
Negli anni scorsi la Fiom ha avuto relazioni spesso burrascose con le segreterie Epifani e Camusso, con punte molto aspre quando la Cgil proponeva di apporre una “firma tecnica” all’accordo capestro firmato a Pomigliano da Marchionne coi sindacati complici. Quei giorni sono però molto lontani, oggi Landini ripiega, elogia l’accordo del 31 maggio, l’idea che dalla Fiom potesse emergere una linea conflittuale, capace di superare l’impotenza e le capitolazioni del gruppo dirigente Cgil, è a dir poco offuscata. L’area La Cgil che vogliamo, emersa dallo scorso congresso e raggruppata attorno alla Fiom, è stata in questi anni totalmente evanescente.
Tra le intenzioni del segretario della Fiom ci sarebbe, almeno a stare alle sue esternazioni sui quotidiani, quella di competere per il ruolo di segretario generale della Cgil. Si tratta di un tentativo di raccogliere quelle speranze che tanti lavoratori e delegati, non solo metalmeccanici, hanno riposto nelle battaglie della Fiom.
Ma una alternativa ha bisogno innanzitutto di una solida base programmatica: ci vuole una strategia, una piattaforma e una volontà di andare fino in fondo nella battaglia per un sindacato che smetta di cercare la legittimazione presso i padroni e il governo e torni a fondarla sui lavoratori. In mancanza
di questo si può cadere in un puro scontro d’apparato, estraneo alla base e incapace di cambiare le cose.
Oggi gli unici determinati a fare un documento alternativo rimangono i compagni che sostengono la Rete 28 aprile. Un’area che attraversa tutt’ora mille difficoltà, a causa della crescente intolleranza e autoritarismo che sono cresciuti nell’apparato confederale, ma anche per una difficoltà evidente dell’area stessa a motivare i propri compagni e definire una strategia che sia realmente punto di riferimento per i settori più avanzati che militano nella Cgil. Una difficoltà di linea che troppo spesso ha offerto il fianco alle accuse strumentali di preparare una scissione per andare verso i sindacati di base. Sindacati che tra l’altro attraversano la loro crisi più nera da vent’anni a questa parte nonostante lo spostamento a destra del gruppo dirigente della Cgil
Come compagni di FalceMartello sosteniamo la necessità di un documento alternativo a quello della maggioranza, pur consapevoli che i rapporti di forza di partenza sono a noi sfavorevoli.
Questo non ci preoccupa, in gioco c’è ben altro che lo scontro con apparati burocratici. In gioco c’è la necessità di dare un riferimento a tutti quei lavoratori e delegati che sono determinati a proseguire la battaglia per una Cgil di classe e sono disposti a lottare con noi. Nel congresso, ma soprattutto nei luoghi di lavoro e nella costruzione delle lotte necessarie per opporci a governo e padronato.