Con l’approvazione del decreto 3+2, il Ministro dell’istruzione del governo reazionario del Pp, José Ignacio Wert, ha scagliato un altro attacco all’istruzione pubblica spagnola. Non si tratta infatti di un provvedimento isolato: le misure di austerity imposte dall’imperialismo, non più disposto a garantire neanche le briciole nell’ora della crisi organica del sistema, hanno avuto sulla scuola e l’università pubbliche spagnole un particolare peso.
Dal 2010 sono stati tagliati 6,7 miliardi di euro – con la perdita di 60mila docenti e la totale deresponsabilizzazione dello Stato rispetto agli alunni disabili – e il dato tragico dell’abbandono scolastico
(25 per cento) è stato affrontato esasperando le differenze di classe all’interno dei percorsi formativi. A tutto ciò si aggiunge un odioso conservatorismo ideologico che ha riportato alla mente delle masse l’olezzo pestilenziale dell’istruzione franchista: maggiori finanziamenti alle scuole private, reintroduzione della religione al posto dell’educazione civica, sovvenzioni agli istituti che attuano una separazione degli alunni per sesso. Non si è fatta attendere la risposta di studenti e professori, che si sono mobilitati in massa contro il processo di smantellamento e privatizzazione dell’istruzione. Ma è stata proprio la riforma, o meglio, la controriforma dell’università ad aprire un nuovo capitolo della lotta. Wert non affonda certo in un terreno vergine: anche con l’attuale sistema universitario gli sbarramenti economici trasformano giorno per giorno sempre di più l’università in un privilegio per pochi, dove per i figli di lavoratori è sempre più difficile accedere. La crisi economica, l’aumento delle tasse universitarie e la drastica riduzione delle borse di studio hanno portato all’esclusione di 45mila studenti dalla formazione universitaria negli ultimi due anni e mettono in discussione il diritto allo studio di altre decine di migliaia di giovani.
Il nuovo decreto, paragonabile nelle sue linee guida alla riforma Moratti, abolisce il vecchio corso di laurea unitario che viene così sostituito da una laurea triennale, con la possibilità di frequentare un corso di altri due anni per l’ottenimento di un master. È chiaro l’effetto che avrà sulla vita degli studenti: tutti coloro che non potranno permettersi di pagare le esorbitanti tasse universitarie previste per i due anni di master dovranno accontentarsi di una laurea di qualità nettamente inferiore. Con una crisi così profonda e di lunga durata saranno davvero pochi a poter sostenere una spesa dai 15mila ai 20mila euro per garantire ai propri figli un’istruzione universitaria completa. È impossibile nutrire dei dubbi sui propositi del ministro Wert: sbarrare le porte dell’università pubblica ai figli dei lavoratori e vendere a peso d’oro un’istruzione di qualità a chi può permettersela. Dopo l’enorme successo dello sciopero di 48 ore che ha visto scendere in piazza uniti nella lotta studenti e lavoratori il 25 e il 26 febbraio, è prevista un’altra giornata di mobilitazione il 24 marzo.
La lotta ha dato alle masse coscienza della propria forza e le battaglie vinte ne sono la dimostrazione. Non basta chiedere le dimissioni del ministro Wert o del governo. La crisi mette tuttavia allo scoperto la reale natura del sistema e pone all’ordine del giorno la necessità di un cambiamento rivoluzionario.