(da leggere assieme all'articolo 70 anni fa l'assassinio di Trotskij - Ma l'idea non muore)
Erano diventati commissari politici, agenti della Ceka, la polizia politica, o dirigenti di partito e di Soviet. Chi li sostituì ne ereditò la leggenda ma non la coscienza politica e l'entusiasmo rivoluzionario. Ma la leggenda pesa e la loro repressione è stata ed è tuttora il principale cavallo di battaglia dell'anarchismo contro il bolscevismo, accusato di avere natura identica allo stalinismo. Ma la mitologia anarchica sull'autoritarismo dei bolscevichi massacratori di una rinascente democrazia sovietica non regge. Innanzitutto, dinnanzi alle scoperte degli archivi sovietici.
Ma andiamo con ordine. Riemersa dalla guerra civile, la rivoluzione conobbe la crisi più profonda. Il comunismo di guerra era in crisi. Le requisizioni forzate per nutrire prioritariamente l'esercito e le città avevano portato le campagne sull'orlo della guerra civile. Molti contadini sabotavano le semine, l'industria del nascente Stato sovietico era al collasso e non poteva dare loro beni di consumo e di produzione per cui valesse la pena di aumentare la redditività della terra. Nel febbraio del '20 Trotskij, rimasto in minoranza, aveva proposto di abbandonare il comunismo di guerra. Il partito, anche l'Ufficio Politico, capì con ritardo, dieci mesi dopo, la necessità di superare la politica economica adottata durante la guerra civile. Il malcontento scoppiò anche nelle città, sull'orlo della carestia. A Pietrogrado, nel febbraio '21, alcuni oratori menscevichi ebbero un ruolo negli scioperi spontanei dove si chiedeva l'aumento della razione ma anche la liberazione di tutti gli operai socialisti o senza partito tratti in arresto. Ai primi di marzo, nella base navale di Kronstadt, già in fermento, si diffuse la voce che a Pietrogrado l'esercito e la Ceka avessero sparato sugli operai. La rivolta esplose. In un programma di 15 punti i ribelli avanzavano, oltre ad alcune richieste politiche come la rielezione dei Soviet a voto segreto, quello che i contadini ed alcune fasce della classe operaia reclamavano a gran voce: fine delle requisizioni forzate e apertura alla libertà di commercio. E’ quello che stava preparandosi ad adottare il partito bolscevico, considerando tale politica, ribattezzata NEP, una necessaria ritirata dovuta in primis all'isolamento della rivoluzione in un paese contadino. Troppo tardi per evitare l'esplodere del malcontento accumulato. L'insurrezione venne proclamata il 3 marzo. Curiosamente, i ribelli non accettarono il negoziato ma non passarono nemmeno all'offensiva. I bolscevichi attesero fino al 16 marzo prima di passare all'offensiva. Il disgelo del golfo di Finlandia, infatti, avrebbe a breve restituito agli ammutinati il collegamento marittimo con l'estero, in possesso di una flotta di cui il governo sovietico sarebbe stato privo. Finché era nella morsa del ghiaccio, la fortezza poteva essere presa d'assalto dalla fanteria, sebbene a costo di altissime perdite (alla fine furono circa 10mila soldati e allievi ufficiali rossi a perire).
Paul Avrich, storico dell'anarchismo, per il quale nutrì anche simpatie politiche, così commenta: “Quale governo avrebbe tollerato a lungo una flotta che si era ammutinata nella sua base di maggior importanza strategica, e che i suoi avversari guardavano con cupidigia come possibile punto di partenza per una nuova invasione?”
La polemica è destinata a continuare ma la risposta è già stata fornita. Il governo sovietico non poteva concedersi un focolaio di lotta armata aperto sull'Occidente. Quanto alla partecipazione dei Bianchi e delle potenze straniere all'insurrezione, la tesi complottista non fu certo abbracciata dai bolscevichi, consci della crisi sociale, dovuta al comunismo di guerra, che l'aveva innescata. L'interpretazione caricaturale di Kronstadt è anch'essa da addebitare allo stalinismo. Tuttavia, la presenza attiva dell'ex generale bianco Kozlovskij, che comandava l'artiglieria della base navale, fu prontamente denunciata dai bolscevichi e non è smentibile. Ma le scoperte fatte negli archivi dei Bianchi da Avrich invitano ad una certa cautela anche sulla figura del leader del Comitato militare rivoluzionario di Kronstadt, il marinaio Petricenko. Nel corso dell'insurrezione, infatti, si pronunciò per rifiutare “temporaneamente” l'aiuto offerto dagli esuli Bianchi; subito dopo, in esilio, entrò in contatto col Centro Nazionale, organizzazione di destra, e col generale Bianco Vrangel, al quale, non più tardi del 31 marzo 1921, scrisse per evidenziare la centralità della parola d'ordine “tutto il potere ai Soviet ma non ai partiti” come “opportuna manovra politica” sino alla caduta del governo comunista. Un'altra scoperta fondamentale di Avrich negli archivi del Centro Nazionale è un manoscritto segretissimo, intitolato Memorandum sulla organizzazione di una rivolta a Kronstadt, non datato ma probabilmente di inizio '21. Quegli appunti parlano di una prossima rivolta della guarnigione e insistono sulla necessità di organizzare un pronto intervento guidato da Vrangel, appoggiato dalla marina francese. Secondo il piano Kronstadt avrebbe dovuto essere la base per uno sbarco sulla terraferma. L'anonimo autore del Memorandum, inoltre, parla di contatti con gli organizzatori della rivolta in preparazione. Avrich, e noi con lui, non esclude affatto, anzi, che si tratti proprio del gruppo di Petricenko.
La repressione della rivolta, decisa dal X congresso, ebbe l'appoggio anche delle opposizioni interne, il gruppo “Opposizione operaia” e quello “Centralismo democratico”. Come però disse Bucharin, tutti combatterono con la morte nel cuore. Trotskij, in una cerimonia in onore dei caduti per Kronstadt, disse: “Abbiamo atteso sino all'ultimo che i nostri compagni marinai fuorviati si rendessero conto da soli di dove li stava conducendo l'ammutinamento. Ma ci siamo trovati di fronte al pericolo del disgelo e siamo stati costretti a colpire con decisione.”
7 luglio 2010