Contro la riforma Moratti
Il 16 Gennaio il governo ha approvato, tramite legge delega, un disegno di legge sul “riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari”. In molte facoltà italiane i ricercatori ed i docenti hanno convocato diverse assemblee per protestare contro questo decreto ed a Roma il neonato “Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari” ha occupato, nella giornata del 5 febbraio, il Rettorato della Sapienza.Il Disegno di legge (Ddl), che da molte delle assemblee di facoltà è stato definito “una provocazione insostenibile”, prevede: la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori ai quali continua a non essere riconosciuta la funzione docente esercitata di fatto; l’eliminazione della distinzione tra tempo pieno e tempo definito e la precarizzazione dell’attività di ricerca e di formazione.
A questo punto risulta interessante analizzare più nello specifico alcuni punti del Ddl in modo da poter trarre delle conclusioni. Iniziamo ad analizzare la condizione dei ricercatori che di sicuro rappresentano la categoria maggiormente sotto attacco. Ormai da diversi anni, ma soprattutto da quando è stata applicata la riforma Zecchino, il ruolo dei ricercatori si è profondamente trasformato: non svolgono più solo una funzione di ricerca, ma in tantissimi casi sostituiscono i docenti sia nel tenere corsi che nel fare esami.
Da un rilievo statistico effettuato dal “Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari” risulta che il 45% dei corsi a livello nazionale è tenuto da ricercatori e che la percentuale per quanto riguarda lo svolgimento di esami è anche superiore.
Nonostante questo lo stipendio dei ricercatori è fisso da anni e le loro condizioni contrattuali sono andate peggiorando. A tal proposito la Moratti ha pensato bene di peggiorare ancora la loro situazione eliminandoli come figura professionale e legando la loro sorte a dei contratti di Collaborazione Coordinata e Continuativa.
Come se non bastasse, la possibilità di rinnovare quei contratti spetta all’università che si riserverà, in base ai fondi disponibili e a criteri di merito per nulla specificati, di decidere il da farsi. In questo modo un ricercatore potrà essere maggiormente ricattabile e non potrà mai fare le sue scelte di ricerca in maniera indipendente. Se si aggiunge a tutto questo la prospettiva di diversi anni di precariato senza certezze per il proprio futuro, saranno sempre meno gli studenti che potranno ambire alla carriera universitaria.
Un altro aspetto che in molti avversano è rappresentato dall’eliminazione delle differenze tra contratti a tempo pieno e a tempo definito. Questa distinzione permetteva, fino ad oggi, una maggiore regolamentazione delle attività extrauniversitarie dei vari “professoroni” che in questo modo arrotondavano il loro stipendio. Con questo provvedimento il Ministro vuole senza dubbio conquistarsi la benevolenza dell’élite universitaria che negli ultimi anni ha utilizzato l’ingresso dei privati nell’università per arricchirsi e per fare carriera.
Tra i progetti del Governo vi è sempre stato quello di garantire un comodo accesso nelle università ai privati e da questo punto di vista la Moratti si è trovata la strada spianata dalla precedente riforma Zecchino.
Nonostante ciò appare irritante la naturalezza con la quale il Ministro dà piena discrezionalità di decisione alle aziende private anche nella didattica.
Nel comma g) dell’articolo 1, si prevede la possibilità (del resto già contemplata in termini più ampi dalla normativa in vigore) di istituire posti di professore di prima fascia con finanziamenti assicurati da imprese o fondazioni, ma con l’ulteriore e del tutto inedita possibilità di conferirli, oltre che a coloro che sono idonei nelle relative prove nazionali, a “soggetti in possesso di elevata qualificazione scientifica e professionale”. (estratto dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane).
A costoro verrebbe così riconosciuto, per il periodo di incarico (rinnovabile senza limitazioni), sulla base della convenzione istitutiva, e quindi conferendo all’ente finanziatore un sostanziale diritto di scelta, il medesimo trattamento economico e (quel che più conta) giuridico dei professori ordinari, senza, oltretutto che sia chiaro se alle figure in questione competerebbero anche i compiti didattici propri della qualifica alla quale li si innalzerebbe. In poche parole chi paga l’orchestra decide anche chi far suonare e quale musica.
Il Ddl della Moratti appena approvato rappresenta l’ennesimo tassello apposto da questo governo al processo di smantellamento della scuola pubblica e di precarizzazione del mondo del lavoro. In questi mesi abbiamo assistito alla lotta in difesa del tempo pieno e contro la riforma delle scuole medie superiori, anche in quel settore dove la politica del governo ha portato da un lato all’ingresso dei privati nelle scuole e dall’altro all’estrema precarizzazione dei contratti degli insegnanti. In questo momento non è ipotizzabile una lotta dei ricercatori e dei professori universitari se non in stretta connessione e coordinamento con quella degli insegnanti delle scuole superiori.
È il mondo dell’istruzione, e quello del lavoro più in generale, che sono sotto attacco e l’unica risposta che può portare la lotta ad una vittoria è un’azione collettiva.
In molte facoltà italiane si stanno creando dei coordinamenti di ricercatori, ma se si vuole far fare un salto di qualità alla lotta, questi coordinamenti si devono unire alla lotta in difesa del tempo pieno che già da tempo è iniziata e che a marzo aumenterà di intensità.
In questa mobilitazione ricoprono un aspetto fondamentale le forme di lotta radicali. Bisogna organizzare delle mobilitazioni che passino per il blocco totale dell’attività didattica (interruzione immediata dei corsi e degli esami) nelle scuole e nelle università e per far ciò bisogna coinvolgere gli studenti che sempre più rappresentano una delle parti lese dai processi di controriforma del Governo Berlusconi.
A tre anni dall’applicazione della Riforma Zecchino i disagi per gli studenti continuano ad aumentare, ma con essi aumenta anche la rabbia. Su queste basi una lotta che unisca studenti medi e professori da una parte e studenti universitari, ricercatori e personale ATA dall’altra puo’ avere caratteristiche esplosive.