Camicia di forza per la formazione universitaria
Che il sistema dei crediti fosse destinato a rappresentare uno dei cardini della controriforma dell’Università ideata da Berlinguer e realizzata da Zecchino, era già da tempo evidente: molto meno chiare erano le implicazioni pratiche di tale innovazione, la quale punta, come obbiettivo finale, a stravolgere l’attuale sistema di valutazioni per scardinare, di conseguenza, l’intero sistema della formazione universitaria. Alcuni documenti apparsi negli ultimi mesi sul sito-internet del Ministero, documenti che riportano testimonianze di esperienze significative d’introduzione dei crediti, contribuiscono (con inconsueta schiettezza) a delineare con più precisione il significato di questo mutamento.
Qualche dato era già stato diffuso: ogni anno accademico dovrà concludersi con l’acquisizione di sessanta crediti, da accumulare in differenti modi: attraverso la frequenza dei corsi, lo studio individuale, la partecipazione ad attività esterne (stages e tirocinii), l’internato aziendale, le attività seminariali, etc. Già queste prime informazioni consentono di delineare la figura di studente che hanno in mente Ministro e autorità accademiche: la "nuova" Università dovrà progettare i programmi di Laurea in maniera tale da "occupare a tempo pieno lo studente". Lo scopo esplicito è quello di disincentivare "pratiche aborrite", quali la personalizzazione dei ritmi di studio e la gestione autonoma del tempo dedicato alla formazione superiore: i crediti perciò dovranno servire a "concretizzare la misura della disponibilità di uno studente normale" e a definirne rigidamente gli impegni, per poter giungere all’utilizzazione completa in ambito universitario della sua disponibilità di tempo. A ordinare tempi e modi delle attività didattiche
alle quali sarà necessario partecipare assiduamente, saranno le strutture collegiali di competenza, all’interno delle quali, è evidente a tutti, il ruolo degli studenti è di pura testimonianza (marginale e inascoltata).
Subordinazione alle imprese
L’Autonomia didattica si concretizzerà poi nella subordinazione di tali strutture non più alle fumose indicazioni ministeriali, ma alle concretissime esigenze economiche delle associzioni imprenditoriali presenti sul territorio, le quali imporranno priorità formative da riconoscere tramite un "accreditamento" maggiore; in questa prospettiva i corsi verranno con ogni probabilità inseriti in una gerarchia di importanza, stabilita a livello locale e slegata dai vincoli delle tabelle nazionali: il risultato sarà che il titolo di studio sarà spendibile solo a livello locale, poiché solo a livello locale sarà chiaramente "riconoscibile". Per riconoscibilità il Ministero intende la capacità che dovrà avere il certificato rilasciato all’allievo di fornire informazioni agli eventuali interessati alla sua assunzione sul lavoro globale che l’allievo si è sobbarcato: le conoscenze acquisite non saranno più sufficienti, ma decisive risulteranno le metodologie didattiche adottate, in virtù della loro capacità di trasmettere competenze.
Competenza in quest’ottica significa concretamente non più conoscenza generale del processo produttivo al quale lo studente dovrà accostarsi, ma esperienza empirica (ed esclusiva) della mansione alla quale verrà assegnato e della disciplina alla quale dovrà conformarsi. Grazie ai crediti, intesi come riconoscimento delle competenze, si giungerà al superamento definitivo dell’istituto delle tabelle nazionali, tramite la completa deregolamentazione di procedure e contenuti della didattica: a salire in cattedra sarà sempre più spesso l’imprenditore, piuttosto che il docente. Il raccordo col mondo del lavoro (cioè con le esigenze aziendali) dovrà essere la bussola della nuova formazione universitaria, la quale dovrà esistere, nelle intenzioni del Ministro, per rispondere in modo sempre più agile alle richieste di un mercato del lavoro sempre più flessibile e dinamico: inutile aggiungere che i collaboratori del Ministro non hanno dedicato un briciolo di attenzione ai problemi di tutela sindacale che pure dovranno porsi per l’esercito di apprendisti, garzoni e "stagisti" che verra arruolato dalle aziende (quali i riconoscimenti salariali, quali le condizioni di lavoro, quale controllo sui contenuti della formazione aziendale?).
Abolizione del valore legale del titolo di studio
L’estrema "territorializzazione" del titolo di studio comporta necessariamente l’abolizione del suo valore legale: al certificato che saremo in grado di conseguire non sarà automaticamente connesso il diritto ad accedere a concorsi, albi professionali o posti di lavoro. Alla laurea si sostituirà una carta dei crediti, fortemente personalizzata, che indicherà il "valore professionale aggiornato dell’individuo": ad ogni singolo datore di lavoro verrà garantita la libertà di giudicare il nostro percorso formativo e di decidere della nostra eventuale assunzione mentre all’allievo non resterà altro che l’incertezza permanente sulla spendibilità del proprio titolo di studio.
La nuova organizzazione degli studi imposta dal sistema dei crediti sarà fondata su un articolazione rigida dei corsi e su obiettivi didattici irrinunciabili (stabiliti a livello locale), non più su piani di studio individuali: il ciclo formativo sarà scandito da numerose scadenze di verifica con le quali le strutture didattiche stabiliranno una sequenzialità vincolante dei corsi da seguire e degli esami da sostenere. I moduli didattici che si accumuleranno semestre dopo semestre saranno ripartibili in attività in classe, in laboratorio, sul campo, in attività di gruppo o in internati aziendali: prove ripetute consentiranno di verificare via via l’apprendimento del quale le modalità verranno giudicate in crediti e la quantita in voti. Più alta sarà la somma dei crediti raggiunti, più avanzato sara il titolo conseguito: decisivi per un accreditamento di valore saranno i dottorati di ricerca, le scuole di specializzazione e i master. Non tutti naturalmente riusciranno a sostenere i ritmi forsennati imposti da questa razionalizzazione dei vari percorsi di studio: per i ritardatari il Ministro sta già pensando a penali apposite (sotto forma di aggravii delle tasse), mentre per coloro che dall’inizio rinunceranno alla regolarità degli studi, gli studenti part-time, il Ministro sta confezionando una laurea "dimezzata", da conseguirsi senza frequenza obbligatoria, ma anche senza l’erogazione di servizi fondamentali quali il supporto didattico o quello "assistenziale" (tutoraggio, assegni, etc.). Lasciamo ai lettori la possibilità di giudicare quale laurea sarà più spendibile sul mercato del lavoro: se quella full-time o quella part-tme. L’obbligo della frequenza per gli studenti che potranno permettersela (le tasse verranno naturalmente aumentate per coloro che accederanno con regolarità ai servizi che l’Università metterà a disposizione) comporterà un’ulteriore conseguenza non trascurabile: vista l’attuale insufficienza delle strutture, sul cui degrado il Ministro non ha intenzione d’intervenire, l’accesso programmato (limitato) sarà lo strumento a disposizione delle autorità accademiche per selezionare gli allievi da istruire rispetto a quelli da "smistare" verso il part-time. Le strutture dell’Università saranno fruibili solo dai primi, che se le saranno "aggiudicate" grazie alle rette elevatissime che le proprie famiglie saranno disponibili a versare, in cambio dell’istruzione full-time per i propri figli.
Dalle indicazioni che abbiamo fornito, ci sembra risulti evidente che l’introduzione dei crediti non è destinata a rappresentare solamente un nuovo sistema di contabilità, capace di ridurre la distanza che separa il sistema italiano di valutazione da quelli europei: d’altra parte è il Ministero stesso a sostenere che una tale limitata novità "non sarebbe difendibile", in quanto se si dovessero considerare i crediti semplicemente come "un parametro accessorio alla mobilità studentesca" - è sempre il parere del Ministero che riportiamo - si perderebbero tutti i potenziali vantaggi dell’accreditamento. Cosa si nasconda dietro a questi presunti vantaggi abbiamo cercato di spiegarlo: lo scopo perseguito, quello cioè di evidenziare con i crediti le forme di apprendimento coinvolte nello svolgimento del curriculum di studi, risulta perfettamente perfettamente funzionale alla progressiva subordinazione del sistema formativo alle esigenze dell’impresa, la quale, raccordando a sé l’Università, otterrà il risultato di vincolarne i programmi didattici al privilegio dell’insegnamento pratico su quello teorico, alla supremazia dell’esecuzione sulla riflessione, schiacciando così la formazione superiore all’accettazione dell’esistente, e non aprendola alla sua critica.
Una svolta qualitativa decisiva, dunque, quella dei crediti, capace di rappresentare il passo definitivo nella lunga marcia di avvicinamento all’Università controriformata: a meno che gli studenti non trovino il modo di sgambettare il Ministro e i suoi tirapiedi, obbiettivo al quale chi collabora a questa rivista non intende rinunciare.