A casa la Moratti!
Mentre il contingente italiano in Iraq spende 26mila euro al giorno solo per muovere 8 mezzi blindati, un edificio scolastico italiano su 3 è a rischio di crollo (indagine “cittadinanza attiva”). Solo alla fine di quest’anno il costo totale della missione sarà di 726 milioni di euro, circa 1.400 miliardi delle vecchie lire.
Quanto si potrebbe fare con le stesse risorse indirizzate nel campo dell’istruzione? Eliminazione delle tasse d’iscrizione, piani di edilizia scolastica, assunzione di nuovi docenti, riqualificazione dell’insegnamento. Accade l’esatto contrario: l’istruzione pubblica riceve l’ennesimo attacco.
La riforma Moratti è l’ultimo capitolo di una storia di 20 anni di tagli all’istruzione pubblica. E proprio perché è l’ultimo capitolo di tale storia, è anche il più grave. Il diritto allo studio viene massacrato dalle elementari fino all’università, mentre i tagli di spesa riguardano ormai i nervi vitali del funzionamento di una scuola: gli insegnanti ed il monte ore di lezione.
Con l’attacco al tempo pieno circa mezzo milione di alunni delle elementari vedranno ridotte di un quarto le proprie ore di lezione. L’introduzione del tutor alle elementari (un maestro prevalente che avrà più ore di lezione e maggiori poteri rispetto al collega che segue la stessa classe) significherebbe declassare salarialmente e professionalmente su due piedi metà del corpo docente. Nel suo complesso la riorganizzazione di elementari e medie (il cosiddetto ciclo primario) si tradurrebbe in un taglio compreso, a seconda delle stime, tra i 17mila ed i 60mila posti di lavoro.
Le scuole superiori, invece, verrebbero divise in due binari assolutamente distinti tra loro: da una parte il percorso liceale, seguito dall’università, e dall’altra l’avviamento professionale. Nel percorso d’avviamento professionale lo studente alternerebbe ore di lezione in classe ad ore di lavoro non retribuito presso le aziende. La scelta tra questi due percorsi sarebbe tutt’altro che una scelta volontaria: le famiglie che non riterranno di potersi permettere di mantenere il proprio figlio agli studi per altri 10 anni (tra liceo e università) saranno spinte ad avviarlo al lavoro.
Mettendo sotto attacco tutti, la riforma Moratti può scatenare potenzialmente la mobilitazione di qualsiasi settore dell’istruzione pubblica: dai ricercatori universitari fino ai genitori delle elementari. Tuttavia i decreti attuativi della riforma hanno una propria logica: quella di colpire tutti ma uno alla volta e con misure apparentemente distinte l’una dall’altra. Ognuno dei settori colpiti deve così ricevere l’impressione che la propria lotta possa esaurirsi con il ritiro del decreto della riforma che lo riguarda direttamente e non con il ritiro della riforma nel suo complesso. La realtà sta esattamente dall’altra parte. La riforma Moratti è un corpo unico perché unico è il principio che la ispira: adattare sempre di più l’istruzione alle esigenze del mercato. I suoi diversi decreti attuativi sono legati da un unico filo conduttore a partire dal tutor delle elementari per finire con le lauree specialistiche d’élite.
Le mobilitazioni che si sono sviluppate finora, come quella dei ricercatori universitari o quella in difesa del tempo pieno, vanno per questo unificate ed estese a quei settori, come ad esempio il corpo studentesco, che ancora non sono entrati in lotta. La loro reciproca unità e la loro estensione è la condizione della loro stessa vittoria. Perché questo avvenga è necessaria una piattaforma rivendicativa generale che sappia dare una riposta a tutte le problematiche vissute dalle singole componenti dell’istruzione. Una piattaforma che a nostro parere non può prescindere dai seguenti punti:
Ritiro di qualsiasi taglio di spesa all’istruzione pubblica. Raddoppio dei finanziamenti destinati alla scuola e all’università pubblica. Chiediamo che il 7% del Pil venga speso per l’istruzione.
Gratuità a tutti i livelli dell’istruzione. In una società basata su profonde diseguaglianze, l’unica garanzia di un accesso reale dei ceti meno abbienti all’istruzione è la sua totale gratuità: non solo dell’iscrizione a scuola, ma anche di tutto ciò che è necessario ad uno studente come libri, mezzi di trasporto, alloggi per gli studenti universitari fuori sede.
Innalzamento dell’obbligo scolastico fino a 18 anni senza distinzione di percorso: a tutti deve essere data la possibilità di studiare le materie tecniche, scientifiche ed umanistiche. La specializzazione del proprio percorso deve avvenire con l’università
Assunzione di tutti i lavoratori della scuola a tempo indeterminato, abolizione del precariato.
Piano di assuzione di nuovi docenti, puntando a creare nuove classi in base al principio di un tetto massimo di 20 alunni per classe.
Ritiro della riforma Moratti e di tutte le precedenti riforme scolastiche che le hanno spianato la strada, come la riforma Berlinguer per la scuola superiore e la Zecchino per l’università.
Fuori i privati dalle scuole! No all’apprendistato e agli stage gratuiti presso le aziende, vere e proprie forme di sfruttamento non retribuite. Gli istituti devono essere attrezzati per insegnare a lavorare e anche laddove si ponesse l’assoluta necessità di far pratica direttamente in azienda, tale attività deve essere retribuita regolarmente e sotto il controllo delle rappresentanze sindacali e studentesche. No all’intromissione delle aziende nella determinazione della ricerca e dei corsi universitari.
È con questo programma che parteciperemo e inviteremo gli studenti a partecipare allo sciopero generale dell’istruzione del 15 novembre indetto dalla Cgil. L’ambiente di scontento è più diffuso di quanto si possa immaginare. E’ significativo ad esempio che l’82% delle scuole elementari e medie si sia rifiutata di nominare un tutor tra i docenti. Dietro il suo fare arrogante questo Governo nasconde una profonda debolezza.
Esistono tutte le possibilità di batterlo. Lo sciopero del 15 potrebbe essere un potente catalizzatore nella presa di coscienza di questa verità da parte di ampi strati di studenti e lavoratori della scuola. Ed è quello per cui lavoreremo.