“Queste elezioni rappresentano una grande vittoria del popolo, del Psuv. Il cammino del Venezuela verso il socialismo è stato ratificato. Adesso abbiamo il dovere di continuare a costruire questo storico progetto. Se guardiamo la mappa del Venezuela è quasi tutta roja-rojita”.
Con queste parole il Presidente Chàvez ha commentato lunedì il risultato delle elezioni amministrative in Venezuela. Un risultato che, stando a guardare le nude cifre, potrebbe sembrare una schiacciante vittoria per la rivoluzione.Il Psuv, Partito socialista Unito del Venezuela, si aggiudica infatti 17 regioni su 22, incluse Sucre, Aragua e Guarico, i cui governatori avevano voltato le spalle al chavismo nel corso del proprio mandato. Anche nell’80% dei comuni, le masse venezuelane hanno votato a favore della rivoluzione.
Con i suoi 5 milioni 300mila voti, un milione in più rispetto al referendum costituzionale dello scorso dicembre, il Psuv si attesta come primo partito Venezuela, con un distacco di piú di 15 punti percentuali sull’opposizione. Tuttavia i segnali d’allarme non mancano.La destra infatti non solo si conferma nelle sue roccaforti storiche, come il Zulia e Nueva Esparta, ma conquista alcune piazze importanti come il Tachira, il Carabobo e lo Stato Miranda, caduto in mano a Capriles Radonsky, esponente dell’ala piú reazionaria dell’opposizione. E anche nelle città strappa posizioni importanti: domenica il partito della borghesia venezuelana non solo ha tolto Caracas al Psuv, ma si è anche aggiudicata alcune delle circoscrizioni piú importanti della città.
Gli effetti di queste vittorie, seppur parziali, non hanno tardato a farsi sentire. A poche ore dall’annuncio dei risultati, mentre gli alti papaveri dell’opposizione lanciavano ipocriti appelli al dialogo, le squadracce di Primero Justicia attaccavano la sede della Misión Rivas en Fila de Mariches, quella della UNEFA a Los Teques e hanno minacciato i medici cubani della Misón Barrio Adentro.
Queste provocazioni mostrano il chiaro volto della destra venezuelana e quali siano i suoi reali intenti. Gli appelli al dialogo e alla collaborazione che personaggi come Capriles Radonsky, uno dei protagonisti del golpe dell’Aprile 2002, stanno facendo al presidente Chávez, sono solo una pericolosa trappola. Una trappola a cui Chávez, nonostante le pressioni della destra bolivariana, sembra non voler cadere.
All’indomani delle elezioni, il presidente ha messo in guardia la borghesia dichiarando che il popolo e il governo non esiteranno ad agire nel caso in cui “l’opposizione si facesse tentare dall’idea di destabilizzare il paese”.
Tuttavia questo non basta. I risultati di queste elezioni regionali dimostrano che la correlazione di forze continua ad essere favorevole alla rivoluzione. Durante la campagna elettorale la base si è mobilitata in massa e la partecipazione a questo nuovo appuntamento elettorale è stata fra le più alte degli ultimi anni. Quasi il 65% dei venezuelani è andato alle urne e Chávez ha recuperato piú di un milione dei voti perduti al referendum del 2 Dicembre scorso.
Ma i fattori che hanno concorso a quella sconfitta, ovvero la crescente apatia e stanchezza dei settori più arretrati, continuano a pesare sullo scenario politico venezuelano. Se questo 23 Novembre non verrà ricordato come la seconda grande sconfitta del processo rivoluzionario si deve alla grande mobilitazione della fascia più cosciente della base del chavismo. Come già in passato, sono stati i lavoratori a salvare la rivoluzione, ma questa vittoria non può essere considerata un assegno in bianco.
A distanza di 10 anni dall’inizio del processo rivoluzionario, il tenore di vita del popolo e l'accesso allo stato sociale sono migliorati, ma i problemi fondamentali non sono ancora stati risolti. La maggioranza dei venezuelani vive ancora in povertà, le infrastrutture e il sistema di trasporti urbani sono ancora insufficienti, i prezzi delle case sono ancora troppo alti, il tasso di criminalità ha raggiunto livelli record.
E non è un caso. Passi fondamentali, come l’espropriazione del latifondo, del sistema bancario e delle principali industrie, non sono ancora stati compiuti. Il risultato è una precaria convivenza fra settori dell’economia ormai nazionalizzati e leve fondamentali dello stesso sistema che sono rimaste saldamente in mano alla borghesia. La ricetta migliore per provocare caos, disoccupazione e inflazione.
Il governo venezuelano ha iniettato miliardi e miliardi di bolivares nell’economia, tuttavia all’aumento del denaro in circolazione non è corrisposto l’aumento della ricchezza nazionale , la creazione di nuove industrie, un aumento della produttività del lavoro. Il Venezuela rimane un paese rimane completamente dipendente dalle importazioni, specialmente di prodotti alimentari. E proprio su questo fronte la borghesia ha puntato per minare il consenso di cui il processo rivoluzionario tutt’ora gode.
Le grandi catene di produzione e distribuzione di alimenti sono un solido feudo dei capitalisti venezuelani che, con una cinica strategia di sabotaggio, per anni hanno deliberatamente tenuto bassa la produzione per causare scarsità di generi alimentari e dare un ulteriore impulso all'inflazione. Di fronte all’aperto sabotaggio della borghesia, migliaia di dollari sono stati bruciati in importazioni. Risultato:l 'inflazione, per quanto riguarda i prodotti alimentari ha raggiunto il 15,3%. Tra il luglio del 2007 e quello del 2008 i prezzi a Caracas sono cresciuti del 49,9%.
L’unica soluzione per risolvere definitivamente i problemi delle masse venezuelane è l’espropriazione di quella classe che tiene ancora saldamente in mano le leve dell’economia e oggi come in passato si sta dimostrando disposta a mettere il paese in ginocchio pur di recuperarne il controllo. un compito sempre piú urgente e che i lavoratori reclamano con sempre maggior forza.
Le nazionalizzazioni dell’acciaieria Sidor nell’aprile scorso, come quella del Banco de Venezuela, del'intera industria del cemento, la fabbrica di alluminio Rialca, sono state accolte con entusiasmo dalla classe operaia venezuelana. Sono un passo nella giusta direzione ma sono provvedimenti parziali che di per sé, non risolvono il problema.
Per essere efficaci, le nazionalizzazioni devono essere parte di un piano socialista complessivo: solo così la catena della produzione può funzionare in maniera tale da soddisfare i bisogni della popolazione. Ma in Venezuela le nazionalizzazioni rimangono limitate a particolari settori dell'economia mentre grandi aziende capitaliste in aree chiave non sono state toccate.
Oggi, l’economia venezuelana non ha ancora accusato le conseguenze della crisi economica mondiale grazie ai profitti derivanti dal petrolio e le riforme sociali messe in atto dal governo negli ultimi anni. Ma la drastica caduta dei prezzi del petrolio, passato dai 147 dollari al barile di luglio agli attuali 52, rischia di lasciare a secco le casse venezuelane. Con i profitti derivanti dal greggio al palo, i programmi sociali avviati dal governo rischiano di non avere i fondi necessari per andare avanti.
Ancora una volta, si dimostra come non saranno misure parziali a risolvere i problemi della classe operaia venezuelana. Solo l'espropriazione della borghesia come classe e la creazione di un piano socialista per la produzione, discusso e realizzato dalla classe operaia organizzata, potrà sottrarre il paese dall’incubo della recessione economica mondiale.
Se fino ad oggi questo non è stato fatto, a mancare non è stata la determinazione della base, che al contrario, in questi ultimi dieci anni di mobilitazione quasi permanente, ha appoggiato qualsiasi passo in direzione dell’abbattimento del capitalismo in Venezuela.
Coloro che hanno frenato l’avanzata del Venezuela verso il socialismo sono quei settori della burocrazia che dall’interno del chavismo hanno tentato di bloccare qualsiasi passo verso il completamento della rivoluzione. Sono loro che hanno dato alla controrivoluzione il tempo di riorganizzarsi e riconquistare spazi nel paese.
Quelli che oggi cercano di scaricare sullo “scarso livello politico delle masse” la responsabilità del risultato delle elezioni regionali e guardano con favore alle offerte di collaborazione dell’opposizione, sono il vero pericolo della rivoluzione venezuelana.
Il risultato delle elezioni del 23 novembre scorso che i lavoratori venezuelani non possono e non devono ignorare. La classe operaia deve mettersi alla testa del processo rivoluzionario e allontanare riformisti e burocrati che negli ultimi 10 anni si sono nascosti fra le fila del chavismo. Il compito dei rivoluzionari venezuelani oggi è uno solo: riprendere l’offensiva per la costruzione del socialismo nazionalizzando le multinazionali, i grandi gruppi industriali e il settore finanziario e bancario, ponendoli sotto il controllo e la gestione dei lavoratori.
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