In cinque anni e mezzo il progetto bolivariano incarnato dal presidente Chavez si è presentato ben otto volte davanti agli elettori. Ebbene, lo scorso 15 agosto - come ha dovuto riconoscere lo stesso Carter, l’expresidente Usa che “controllava” che il voto fosse democratico - un 59% (circa 6milioni di elettori) hanno votato a favore di Chavez, mentre un 41% votava contro.
Il No alle dimissioni del presidente ha vinto in 22 dei 24 stati del Venezuela. Il corpo elettorale è aumentato di 3 milioni di persone rispetto alle ultime votazioni. Finora nessun governante venezuelano aveva ottenuto un numero di consensi così alto.
Questo era il paese dove fino a 6 anni fa votava meno del 50% degli aventi diritto e circa 5 milioni di persone non avevano documenti e dunque a tutti gli effetti "non esistevano". La rivoluzione bolivariana ha fatto si che circa 3 milioni di questi "indocumentados" abbiano deciso di iscriversi alle liste elettorali e votare.
Anche se il cosiddetto Coordinamento Democratico (che aveva voluto il Referendum "revocatorio" per costringere Chavez a dimettersi a metà del suo mandato) ha denunciato subito "una gigantesca frode" promettendo prove schiaccianti per dimostrarlo, oggi a 30 giorni dal voto è evidente che le "prove" non ci sono e perfino il governo Usa e il Vaticano (malgrado si siano mobilitati contro Chavez in tutti questi anni) sono costretti ad ammettere che egli ha vinto il referendum.
Si può non essere d’accordo con Hugo Chavez, ma sicuramente non lo si può considerare un autoritario, come anche recentemente hanno fatto esponenti dei Ds e dei Verdi. A dicembre il suo governo compierà sei anni e l’appoggio di cui gode tra la popolazione non solo non è calato ma è raddoppiato in termini di voti assoluti.
I mezzi di comunicazione italiani e internazionali, con poche eccezioni, hanno trattato la questione con un misto di ironia, sarcasmo e pressappochismo proponendo un insieme di luoghi comuni e vere e proprie bugie (regime autoritario, attacchi alla libertà di espressione, populismo) e prendendo spesso come oro colato le trionfalistiche dichiarazioni dell’opposizione al governo bolivariano. Dopo i risultati del referendum gli articoli di approfondimento non ci sono stati e in pochi giorni è tornato il silenzio informativo.
Ai lavoratori e a tutti coloro che invece vorrebbero saperne di più dedichiamo questo articolo. La storia di questa nuova vittoria della rivoluzione venezuelana era cominciata molto prima del 15 agosto. Con la manifestazione massiccia di domenica 6 giugno, con l’esplosione di partecipazione sociale generata dall’organizzazione di "patrullas" per il No in tutto il paese, con la nuova massiccia manifestazione dello scorso 8 agosto e la mobilitazione del 15 agosto quando, dalle tre del mattino, in tutto il paese folle sterminate di partigiani del governo hanno cominciato a marciare composte verso le sedi elettorali, dove hanno aspettato a volte per 4-5 ore prima di poter esprimere il loro No deciso al ritorno indietro, a un Venezuela controllato da quel pugno di capitalisti che conta, che controlla le maggiori fortune del mondo, mentre il 70% della popolazione è povera.
E ora?
La notte del 15 agosto nel suo primo discorso dopo le elezioni Chavez ha parlato con grande moderazione e ha fatto ripetuti appelli alla riconciliazione e all’ "unità nazionale". Ha criticato il "neo liberalismo selvaggio" ma senza menzionare il capitalismo e ha sostenuto l’idea di costruire un modello di sviluppo "bolivariano".
Nella sessione speciale del Parlamento per ratificare i risultati del referendum, Chavez ha dichiarato che la Costituzione ha compiuto cinque anni e che "è arrivato il tempo per pensare ad una revisione della stessa, per rafforzarla". Lo stesso pensa delle leggi della repubblica, come la Ley di Tierras: "io faccio appello per la revisione della Ley de Tierras per poter andare avanti con la necessaria rivoluzione agraria".
"La Ley de Tierras, secondo me, è stata azzoppata; credo che non s’è capita la sua importanza, per poter cominciare a risolvere, rispettando i diritti di tutti, uno dei più grandi mali che soffriamo da secoli, una situazione medioevale che abbiamo nelle campagne, grandi latifondi nelle mani di signori feudali che si credono padroni dell’acqua, del sottosuolo e perfino della gente che ci abita."
Chavez aggiunge che "siamo entrati in una nuova fase, dove stiamo sottoponendo a revisione la struttura giuridica e politica del governo". Segnala che un’altra decisione improcrastinabile del governo è l’articolazione definitiva, in un solo ente, di tutti gli organismi finanziari dell’amministrazione pubblica, "per rendere più efficiente il credito".
"Dal Bandes, fino al Fondo di Microfinanzas; non ho ancora il nome ma sarà il ‘Ministero del Potere Popolare’, perché si tratta della trasformazione socioeconomica; insisto, se non riuscissimo a trasformare le strutture socioeconomiche, dovremo dire all’ora della morte, come disse Bolivar: ‘abbiamo arato sul mare’. Ci giochiamo la vita, nella crescita della qualità della vita dei più poveri, delle classi medie, delle classi professionali… L’essenza di questa nuova tappa della Rivoluzione Bolivariana sarà una redistribuzione del potere, "perciò parlo di potere popolare, di dare forma concreta a una nuova istituzionalità del potere popolare che deve essere più che uno slogan, occorre dare potere al popolo".
Infine spiega che un modo di dare potere al popolo è ridistribuendo il potere della conoscenza, dunque "rafforzeremo la Misión Robinson, la Misión Ribas, la Misión Sucre, ampliando e rafforzando l’Università Bolivariana e le università del paese per dare accesso alle classi povere".
E ricorda che: "Il paese richiede con urgenza l’approvazione della Legge di Responsabilità Sociale nella Radio e nella Televisione", sottolineando che nessun governo al mondo "può permettere l’esistenza di un canale di televisione sovversivo".
Dichiara di voler raggiungere questi obiettivi senza mettere in discussione la proprietà privata delle grandi aziende, banche e catene di distribuzione e lancia un appello a tutti i venezuelani per costruire una "patria migliore".
Insiste che "nel Venezuela ci stiamo tutti" ma allo stesso tempo vuole mantenere la struttura delle pattuglie e delle Ube (Unità di battaglia elettorale) che hanno permesso di contrastare il potere mediatico dell’opposizione (circa l’80% di tutti i mass media) e vincere il referendum.
Queste strutture di base che organizzano circa un milione di persone non sono dei gregari ubbidienti e in occasione delle prossime elezioni comunali hanno già mandato a dire da più luoghi, che vogliono decidere democraticamente nelle assemblee i loro candidati, che in molti casi sono diversi da quelli che propone il Movimento per la V Repubblica di Chavez. In questo senso lo scorso 8 settembre il vicepresidente Rangel, commentando la richiesta di eleggere i candidati nelle assemblee di base, dichiarava che non si opponeva, ma che in questo caso non "c’era più tempo"…
La "rivoluzione nella rivoluzione"
Fare la "rivoluzione nella rivoluzione" per settori sempre più estesi delle masse significa cambiare buona parte dei dirigenti "chavisti", a tutti i livelli e sostituirli con autentici rivoluzionari eletti nelle assemblee di quartiere e nelle fabbriche e che rispondano di fronte alle stesse.
In ultima istanza le masse cercano a tentoni una strada per la trasformazione rivoluzionaria della società e dell’economia, che giustamente capiscono essere l’unico modo per farla finita con la disoccupazione e i lavori precari, la mancanza di case, le cattive condizioni sanitarie, le carenze educative, ecc.
Questa è la principale contraddizione del processo rivoluzionario. Chavez ha proclamato ancora una volta l’obiettivo di abolire la povertà, ma non ha avviato la trasformazione economica del paese e più volte ha dichiarato che ciò si può realizzare mantenendo il sistema capitalista.
Nei cinque anni di "chavismo" si sono fatte molte dichiarazioni positive e alcune realizzazioni concrete. È importante che le famiglie dei "ranchitos" abbiano ora un titolo di proprietà della propria casa "abusiva" e che sia garantito loro l’attacco della luce, una assistenza sanitaria di base, la possibilità di imparare a leggere e scrivere e che i loro bambini vadano a scuola dove vengono serviti tre pasti caldi al giorno.
Tutte queste misure hanno determinato una rottura chiara col passato e assieme al senso della acquisita dignità spiegano l’appoggio di cui gode il chavismo.
Sono misure necessarie e fondamentali, ma non sufficienti a trasformare definitivamente la realtà del Venezuela. Sicuramente servono i mercati "alternativi" del governo per ridurre i prezzi del 20-30%, ma il problema è mettere fine al controllo oligopolistico del settore alimentare con poche grandi aziende che preferiscono importare il 70% del fabbisogno del paese piuttosto che produrlo in loco, che decidono i prezzi e gli articoli che si trovano negli scaffali in base agli interessi dei loro azionisti e non di certo sulla base dei bisogni della popolazione. Lo stesso possiamo dire del vecchio modello sanitario, copiato da quello Usa, con la differenza che mentre in quel paese il 20% circa della popolazione è fuori da qualsiasi copertura sanitaria in Venezuela questa cifra arrivava al 40%!
Le iniziative positive del governo hanno soddisfatto molti bisogni urgenti e sono state possibili grazie ad un insieme di circostanze favorevoli che non si manterranno per sempre. La sconfitta della serrata padronale del 2002-2003 ha permesso un maggior controllo delle finanze della Pdvsa (l’azienda pubblica del petrolio e del gas). Assieme all’aumento dei prezzi del crudo negli ultimi 18 mesi tutto questo ha messo a disposizione del governo somme importanti che hanno permesso di "quadrare il cerchio".
La congiuntura economica: un boom
Lo scorso 8 settembre il ministro della Pianificazione e Sviluppo, Jorge Giordani, ha dichiato che il Prodotto interno lordo (Pil) del secondo trimestre del 2004 è aumentato del 13,6% che unito al 34,8% corrispondente al primo trimestre di quest’ anno suppone, per il primo semestre, una crescita del 23,1%. Il settore pubblico è cresciuto del 5,9% e quello privato del 16,1%. Il settore industriale ha avuto una crescita durante il secondo trimestre del 2004 del 25,7%, mentre nel primo trimestre aveva raggiunto il 53,9%.
Giordani ha ricordato che il settore edile, in recessione alla fine del 2003, è cresciuto nel primo trimestre 2004 del 40,7%, e nel secondo del 28,2%. Il livello di consumo privato calava nel primo trimestre del 2003 del 9,3%, manteneva ancora un calo del 6,7% nel secondo e nel terzo trimestre del 1,9%; ma già nel quarto trimestre del 2003 cresceva del 4,2%, arrivando al 7,9% nel primo trimestre del 2004, e al 13,5% nel secondo.
C’è stato un autentico boom degli investimenti che durante i due primi trimestri del 2004 sono cresciuti rispettivamente del 64,4% e del 42,7%. Un altro dato significativo sono le vendite di auto che in agosto sono cresciute del 115,1%, rispetto allo stesso mese del 2003, secondo la Camera del Auto di Venezuela (Cavenez).
Tra gennaio e agosto 2004 si sono venduti 74.801 auto, mentre nello stesso periodo del 2003 le auto vendute sono state 37.875.
Infine il ministro ha informato che - grazie alla maggior disponibilità di valuta - la crescita delle importazioni è arrivata nel primo trimestre al 48,3% e al 88,9% durante il secondo.
In questa congiuntura economica il Venezuela ha pagato il debito estero con facilità e allo stesso tempo ha lanciato un piano ambizioso di opere pubbliche e di aiuti sociali (case popolari, assistenza sanitaria, educazione, crediti agevolati ecc.). Per inciso è stato divertente vedere come "giornalisti indipendenti" delle più importanti testate italiane si scandalizzavano perché il "populista" Chavez spendeva i soldi del petrolio… nel miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri, che "caduti nell’inganno" avrebbero poi ricambiato nell’urna.
Ma il cerchio non si può quadrare per sempre…
Ma come lo stesso Chavez ha dovuto riconoscere, per realizzare le "misiones" nel terreno dell’educazione, della sanità, della lotta al caro vita, non ha potuto usare le strutture ministeriali e comunali, ma ha dovuto organizzarne di nuove. Una dimostrazione evidente, di come non basta avere la maggioranza nel Parlamento e vincere 8 consultazioni elettorali in 5 anni per poter usare le strutture statali nell’interesse della maggioranza del paese!
Boicottaggio palese o nascosto, appelli al golpe di Stato e alla insubordinazione dei militari, serrate e accaparramento di merci… questo ha ricevuto la rivoluzione bolivariana da tanti funzionari statali e dalla Fedecameras (la Confindustria locale).
Come marxisti abbiamo appoggiato in Venezuela e internazionalmente la rivoluzione bolivariana non perché "avevamo illusioni in Chavez" ma perché risultava evidente che lui era il prodotto e la concausa di una rivoluzione che si palesava nella crescente partecipazione nella vita politica di milioni di venezuelani.
Fin dall’inizio abbiamo sostenuto che non esisteva una "terza via" tra capitalismo e socialismo, una via "bolivariana" che permettesse di risolvere i problemi della maggioranza della popolazione senza togliere alla minoranza il controllo sull’economia del paese. Abbiamo sostenuto che i risultati elettorali dimostravano l’appoggio alle idee rivoluzionarie, ma che essi non bastavano a piegare la reazione, abbiamo anticipato che essa avrebbe usato tutti i mezzi a disposizione (legali e illegali) per rovesciare il processo. Continuiamo a dirlo oggi, quando l’abbondanza petrolifera e la schiacciante sconfitta del referendum hanno lasciato l’opposizione delusa, confusa e demoralizzata.
È sicuramente giusto fare un appello a tanti che hanno votato SI ingannati dalla propaganda, ma bisogna assolutamente distinguere tra l’impiegato di banca e il banchiere, il lavoratore a giornata nella piantagione di cacao e il latifondista, il camionista che guida gli autotreni di Cisneros e quest’ultimo che guida un gruppo miliardario che dalle proprie TV e radio incita all’odio contro i diseredati che decidono di lottare per cambiare la propria condizione.
Spostamento a sinistra
La massiccia partecipazione della popolazione in cortei e manifestazioni, l’ambiente militante nelle strade, l’atteggiamento vigilante che regna tra le masse, assieme a sintomi di un spostamento a sinistra tra settori dei ceti medi, sicuramente sono stati un chiaro avvertimento per i controrivoluzionari.
Le "Missioni"
Le Missioni, come "Robinson", "Barrio Adentro", "Ribas" e "Sucre", hanno sradicato l’analfabetismo che pativano oltre un milione di venezuelani, permettendo che la popolazione vada a scuola, e che coloro che avevano abbandonato gli studi, ai licei e all’università possano servirsi dell’Universidad Bolivariana, in molti casi con borse di studio offerte dal governo.
La missione "Mercal" permette l’acquisto di alimenti a buon mercato e di prima qualità alla popolazione. La "Misión Guaicaipuro", si propone di migliorare le condizioni sociali ed economiche delle comunità indigene. La rete di banche popolari concede crediti personali a imprese familiari e a piccoli e medi imprenditori.
Il bilancio per l’istruzione e la sanità è il più elevato del continente. È stata creata dal nulla una rete di assistenza medica preventiva nei settori urbani poveri e in quelli rurali, in virtù di un accordo d’interscambio (petrolio per medici e medicinali) con Cuba. Per quella parte preponderante della popolazione esclusa dal sistema sanitario, è la prima volta che dispongono di un medico in ogni quartiere.
In questo momento, il 30% della popolazione è impegnata negli studi, sia nel ciclo di scolarizzazione normale, come nelle campagne di alfabetizzazione e per completare il ciclo pre-universitario. Molti dei partecipanti ricevono una borsa di studio equivalente ad un salario minimo. Si tratta di una sfida organizzativa condotta al di fuori delle inefficienti istituzioni scolastiche tradizionali. Per garantire il diritto allo studio a tanta gente, è stato indispensabile creare una rete ex novo. La politica salariale del governo si è sinora contraddistinta, per l‘integrazione dell’inflazione al salario minimo.
In un solo anno un milione e mezzo di persone hanno imparato a leggere e a scrivere, si sono concesse 200mila case e 2 milioni e mezzo di ettari di campo ai braccianti senza terra, mentre i crediti ai poveri sono triplicati.
Ci sono tanti esempi che lo dimostrano, ma qui parleremo di un caso emblematico, visto che tradizionalmente i musicisti professionisti non sono all’avanguardia delle rivoluzioni. Un marxista venezuelano ha presentato poche settimane prima del referendum una risoluzione a favore del NO nell’ Orchestra Filarmonica del Venezuela e ha ottenuto la firma della metà dei musicisti. Pochi mesi prima circa il 30% di loro si dichiaravano chavisti o simpatizzanti, 30-35% neutrali (la maggioranza di questi avevano partecipato alle mobilitazioni contro Chavez di aprile e dicembre del 2002 e dopo avevano mantenuto una posizione critica contro Chavez), e il restante 35-40% reazionari.
Nel corso della campagna referendaria l’opposizione ha speso ingenti somme nella campagna per il SI, ma non aveva con sè le masse. I manifesti del SI erano collocati da gente pagata per farlo, erano sicuramente più belli e colorati, ma non potevano competere coi graffiti fatti da centinaia di migliaia di persone che avevano deciso di partecipare attivamente nella campagna per il NO.
Diversi gruppi di operai pagati hanno riempito in due settimane interi quartieri di Caracas con manifesti per il SI. I chavisti sono usciti due notti e li hanno sommersi. Anche in zone dove prima la gente aveva paura a dichiararsi chavista ora si potevano vedere striscioni con il NO sui balconi delle case. Tutto ciò ha sorpreso e demoralizzato l’opposizione di destra.
La borghesia venezuelana e internazionale, ha dimostrato ancora una volta che la "democrazia" è utile solo se serve a mantenere i propri privilegi. In occasione del referendum i loro piani consistevano nel vincere usando la forza dei mass-media a loro disposizione o almeno arrivare a una situazione di sostanziale parità che permettesse di delegittimare il governo e continuare nel lavoro di demolizione del consenso della rivoluzione bolivariana. Solo alcuni pazzi come l'ex-presidente Carlos Andres Perez, ancora un mese fa facevano appello all’assassinio di Chavez, senza capire che con gli attuali rapporti di forza ciò avrebbe portato ad una reazione rabbiosa delle masse e all’approfondimento della rivoluzione.
Cosa pensiamo di Chavez?
Trotzkij disse che la rivoluzione coloniale può generare i dirigenti più eccezionali, e Hugo Chavez è uno di questi dirigenti. Perciò gli imperialisti hanno fatto di tutto per abbatterlo. Nel corso della campagna referendaria, come prima, durante la serrata padronale, i marxisti venezuelani hanno lottato assieme alle masse del movimento bolivariano per sconfiggere l’opposizione controrivoluzionaria. Difendiamo Chavez perché se i reazionari riescono a destituirlo ciò sarebbe un golpe devastante contro le forze rivoluzionarie in Venezuela e in tutta l’America Latina. Questo è un esempio concreto di fronte unico nell’azione.
Ciò significa che non ci sono differenze tra Chavez e i marxisti? Assolutamente no, non abbiamo mai detto questo. Chavez ha detto più volte che non è un marxista. I suoi scopi sono quelli della democrazia piccolo borghese rivoluzionaria, mentre quello del marxismo è la rivoluzione proletaria.
Nelle condizioni concrete della rivoluzione venezuelana, il punto di partenza è la lotta contro l’imperialismo, per l’autodeterminazione del paese, per il diritto del popolo venezuelano a disporre delle proprie risorse naturali e in generale a decidere il suo destino senza ingerenze esterne. Ovviamente appoggiamo tutto questo e dunque lottiamo assieme per queste rivendicazioni. Ma le differenze restano e nel futuro dovranno essere risolte in un modo o nell’altro.
Chi non parte da questa base può arrivare (come il Mas o Bandera Roja) a lavorare assieme alla reazione capitalista, appoggiando i golpisti e l’imperialismo internazionale. Non è migliore la posizione astensionista di quelli che difendono la neutralità tra chavismo e borghesia, ignorando gli interessi di classe che ogni schieramento esprime e difendendo un comportamento astratto e formalista che - non a caso - vediamo soprattutto in quelle organizzazioni che, non avendo una presenza seria in Venezuela, possono dire qualsiasi cosa, tanto pochi se ne accorgono…
Non ignoriamo che, per la loro stessa natura, anche i migliori rivoluzionari democratici tendono al compromesso e a fermarsi a metà strada. Non hanno una visione di classe della lotta antimperialista e provano ad unire "la nazione" basandosi su di un programma che, malgrado i suoi elementi radicali, non va oltre i limiti del sistema capitalista.
Ma noi marxisti pensiamo che nella misura che la democrazia rivoluzionaria lotti contro l’ imperialismo, possiamo e dobbiamo lavorare assieme contro il nemico comune. Non c’è contraddizione - anzi - tra il lavoro per influenzare e conquistare interi settori democratici rivoluzionari al marxismo e la costruzione di una corrente rivoluzionaria proletaria indipendente, non fuori, ma all’interno delle strutture del chavismo, dove si organizza la stragrande maggioranza delle masse rivoluzionarie venezuelane.
Quali erano e quali sono oggi i piani dell’opposizione?
In agosto la maggioranza della borghesia, dentro e fuori il paese, ha capito che deve guadagnare tempo e usare (per ora) mezzi legali aspettando che si creino le condizioni politiche per un rovesciamento di Chavez. Che questo accada per via elettorale o mediante mezzi illegali, o attraverso una combinazione dei due metodi, è poco importante per loro. La questione decisiva è togliere di mezzo la determinazione, la combattività, la decisione di lottare per i loro diritti di milioni di venezuelani.
Finora in ogni scontro decisivo le masse rivoluzionarie si sono rafforzate, hanno visto come la loro mobilitazione otteneva dei risultati, hanno capito che lottando possono migliorare il loro presente e cambiare il loro futuro. Contro questa forza immensa non valgono i colpi di Stato e neanche i marines. La rivoluzione va prima sconfitta politicamente, erodendo la fiducia delle masse diseredate nelle proprie forze e solo dopo cancellando le loro illusioni con la repressione "democratica" o "golpista", a questo punto poco importa.
La OEA (organizzazione degli stati americani) e il Centro Carter erano "osservatori" al servizio dell’opposizione in queste elezioni sarebbero stati disponibili a premere sul governo di Caracas e perfino ad avallare una frode.
Ma con la schiacciante valanga di NO, sia il Centro Carter che la OEA, hanno dovuto accettare il risultato. Sia chiaro che si tratta solo di tattica. Che nessuno pensi che abbiano cambiato - colpiti dall’esito referendario - la loro opinione di fondo su Chavez. Tutti quelli che nell’aprile del 2002 salutarono il golpe di Carmona come "un ritorno alla democrazia" sanno che per ora devono accettare Chavez. In un contesto di crescita economica importante e con un’opposizione allo sbando, settori importanti della borghesia venezuelana e internazionale si stanno orientando - per ora- verso un accordo con gli esponenti chavisti più moderati. Per tutelare i propri interessi - sperando che in un secondo tempo possano ricreare uno schieramento abbastanza forte per schiacciare la rivoluzione - nel frattempo prendono tempo usando tutti i mezzi a loro disposizione (e sono molti) per lavorare ai fianchi la rivoluzione bolivariana.
D’altra parte è chiaro che l’ala destra del chavismo è passata all’offensiva già prima del referendum. Di fatto sono stati loro a dare per buona una raccolta di firme che, volendo essere fiscali, non aveva raggiunto il 20% dei votanti. A questo settore fa da sponda l’imperialismo Usa che dopo aver provato più volte ad abbattere Chavez con un attacco frontale, ora ricorre a manovre dietro le quinte.
L’ala destra del chavismo sta provando ad arrivare a un accordo secreto con Carter e la OEA? Per ora sembra di no, ma certamente sono convinti che sia possibile arrivare ad un qualche tipo di "modus vivendi" col capitalismo venezuelano e l’imperialismo. E’ quello che loro chiamano una "politica realista". Questi signori considerano Chavez troppo radicale. Per ora si accontentano di isolarlo dalle masse, ma arrivano anche a parlare di "chavismo senza Chavez". Tuttavia un accordo tra la rivoluzione e la controrivoluzione sarebbe possibile solo dopo la sconfitta della prima, sarebbe un accordo tra l’ombra sfuggente della rivoluzione e la controrivoluzione che avanza.
Chavez ha avuto delle riunioni con dei capitalisti, non piccoli, ma rappresentanti delle grandi aziende come Daimler-Chrysler. Ha visto più volte Cisneros ( l’uomo più ricco del Venezuela e il maggior proprietario dei mass media che dal 1999 attaccano Chavez). I rappresentanti delle aziende hanno avanzato ogni tipo di richieste e Chavez ha fatto ogni tipo di offerte.
Anche se mantiene il tono dei suoi discorsi antimperialisti, è chiaro che Chavez subisce la pressione dell’oligarchia e dell’imperialismo. Essa si esprime in particolare attraverso quegli elementi della direzione del movimento bolivariano che da tempo chiedono una politica "più cauta", dialogo, trattative, ecc.
Durante il programma Aló Presidente del 22 agosto scorso ha telefonato monsignor Torrealba, dall’ambasciata del Venezuela a Roma, che ha esordito dicendo che "dobbiamo vedere il 15 agosto senza meschinità, ed è importante che tutti i settori siano presenti in questa apertura al dialogo, perché occorre costruire un paese senza discriminazione di nessun tipo".
E ancora: "I nostri nemici sono l’analfabetismo, la miseria, l’insicurezza. Il cammino è la costruzione della democrazia, che si è manifestata il 15 agosto con un vero spirito costruttivo". Ha detto a Chavez che "l’appoggio che ha ricevuto nel paese e altrove si deve al fatto che è un uomo che apre strade. Non ci lasceremo schiacciare, come dice il Papa, dai blocchi, dal neo liberalismo. Aprire strade significa anche renderci conto che il capitalismo selvaggio è in agonia. Questo è il dramma del mondo. Questo è il momento di aprire strade e ciò significa camminare tra dinosauri potentissimi. Non è facile, ma questo è l’unico cammino, quello del dialogo."
Chavez rispose che: "…questo è il cammino, e non è facile. Proponiamo il dialogo in condizioni di uguaglianza, sempre nella cornice della Costituzione, e subordinati agli interessi della Nazione", finendo con la raccomandazione di "essere buoni cristiani, candidi come le colombe, ma astuti come i serpenti".
Sempre negli stessi giorni la presidentessa di Fedecameras Albis Muñoz moltiplicava gli appelli alla riconciliazione nazionale, dicendosi "pronta ad attivare un dialogo con il governo."
Una grande vittoria o una tremenda sconfitta
Tutto bene dunque? Quale è la realtà del Venezuela? Il paese è fortemente polarizzato. Questa polarizzazione non diminuirà, ma si acutizzerà. In questo senso il referendum ha rappresentato solo un’occasione persa per la borghesia e un rafforzamento della fiducia dei lavoratori; ma non assicura che la controrivoluzione non userà qualsiasi mezzo per boicottare l’azione del governo fino alla fine del mandato. Lo stesso possiamo dire rispetto al piano internazionale; negando l’evidenza, continueranno a parlare delle tendenze autoritarie del chavismo, nascondendo accuratamente la realtà e i dati economici e sociali del paese.
O la rivoluzione va verso il socialismo e il potere dei lavoratori oppure la borghesia nazionale e internazionale (indipendentemente dal fatto che oggi possano esistere divisioni sui tempi e i modi per lanciare l’affondo) proverà ancora a schiacciare questo processo rivoluzionario. Se la rivoluzione non passa chiaramente dalle parole ai fatti l’appoggio che ancora oggi ha tra le masse calerà e alla lunga questo porterà alla sconfitta. La esperienza cilena o nicaraguense dovrebbe insegnare qualcosa….
E qui vediamo la differenza fondamentale tra il marxismo e il programma della democrazia piccolo borghese rivoluzionaria più avanzata. L’idea che la rivoluzione venezuelana possa trionfare coi capitalisti e i banchieri che mantengono il controllo delle leve vitali del potere economico e un errore madornale. Nell’epoca attuale, la borghesia dei paesi coloniali ed ex-coloniali è incapace di portare a termine i compiti della rivoluzione democratico borghese. Neanche una delle conquiste della rivoluzione può essere garantita senza l’espropriazione dei grandi capitalisti e finanzieri.
Oggi, la speciale congiuntura economica e la confusione dell’opposizione permettono la realizzazione di riforme e un reale miglioramento delle condizioni di milioni di diseredati, mentre allo stesso tempo aumentano i profitti dei capitalisti. Ma questa situazione eccezionale non durerà per sempre. La borghesia aspetta che tra le masse scemi la tensione rivoluzionaria, che l’idea che cambiamenti rivoluzionari non siano più possibili e che dopo tutto l’obiettivo di Chavez sia quello di ridistribuire un po’ la ricchezza e ridurre (solo ridurre) la povertà. Se la tensione rivoluzionaria scemerà si potrebbero creare le condizioni per una spaccatura tra i seguaci di Chavez. Ci sarà chi - soprattutto tra il personale politico "bolivariano" - dirà che "la rivoluzione ha compiuto già i suoi obiettivi, bisogna smetterla coi discorsi rivoluzionari e consolidare quello che abbiamo ottenuto". Tanti altri - la maggioranza - considereranno invece che la rivoluzione ha appena cominciato a cambiare le cose e in questo contesto cadrà nella delusione.
Dall’altra parte la borghesia non può accettare neanche queste riforme minime. Il problema è che sono state ottenute grazie alla spinta rivoluzionaria, alla decisione delle masse che pensavano che valeva la pena giocarsi la vita perché comprendevano che le cose potevano cambiare davvero. Da sole tutte le leggi bolivariane non avrebbero potuto sconfiggere il golpe della destra nell’aprile del 2002! Senza mettere fine al controllo di un pugno di capitalisti sull’economia venezuelana tutto è provvisorio e appena il prezzo del petrolio dovesse calare, tutto può essere messo in discussione.
La rivoluzione bolivariana ha il programma della democrazia piccolo borghese rivoluzionaria, che vuole migliorare le condizioni delle masse, ma non contempla che siano queste ultime a dirigere la società. Non a caso il suo programma corrisponde storicamente al periodo di ascesa della borghesia, che ovviamente contemplava l’uso delle masse contro la reazione, ma non l’avvento di una società basata sulla democrazia operaia, cioè socialista.
Perciò in ultima istanza si arrende di fronte all’oligarchia e all’imperialismo. Questo è un pericolo presente fin dall’inizio. Ma come abbiamo visto, l’esito non può essere definito in anticipo. La dinamica della rivoluzione venezuelana verrà determinata innanzitutto dai rapporti di forza tra le classi. Più volte in passato il magnifico movimento delle masse è intervenuto in momenti decisivi (il golpe del aprile 2002 e la serrata del dicembre 2002-gennaio 2003) per sconfiggere la controrivoluzione e spingere la rivoluzione in avanti. Dobbiamo basarci sul movimento delle masse, sull’istinto rivoluzionario dei lavoratori, dei contadini e dei sottoproletari delle baraccopoli, proponendo loro una forma organizzativa e politica chiara.
Dopo la vittoria del referendum del 15 agosto Chavez potrebbe portare avanti un’azione decisiva contro i grandi capitalisti. Il fronte reazionario è confuso e diviso e sarebbe facile spiegare come raggiungere gli obiettivi che la maggioranza dei venezuelani condivide: abbattere i privilegi di una cricca di capitalisti. La rivoluzione bolivariana può offrire una prospettiva rivoluzionaria a tutti gli strati meno abbienti di quel 40% di venezuelani che aveva votato SI nel referendum, mentre allo stesso tempo intraprende una battaglia decisa contro i grandi capitalisti come Cisneros, che oggi fanno buon viso a cattivo gioco, aspettando l’occasione buona per tirar fuori le grinfie. L’esperienza storica dimostra che la "moderazione" non rende i nemici della rivoluzione più morbidi. Anzi, la debolezza invita all’aggressione. Lo vogliamo gridare forte: la politica difesa dai dirigenti chavisti riformisti, che oggi dispongono di posizioni chiave a Miraflores, costituisce il pericolo principale per la rivoluzione bolivariana.
Sotto la loro influenza Chavez denuncia l’imperialismo Usa, mentre fa appelli all’unità nazionale, dimenticando che l’imperialismo non è fuori dai confini, giacché borghesia internazionale e venezuelana sono unite fino al midollo. I capitalisti venezuelani non tollereranno mai un presidente che parli di rivoluzione e che stimoli in qualche modo l’organizzazione dei lavoratori.
Il destino del processo rivoluzionario dipenderà delle politiche che si applicheranno nei prossimi mesi e in ultima istanza tutto dipende della capacità del movimento operaio di assumere la direzione del processo. Gli sviluppi degli ultimi mesi ci fanno ben sperare, ma non sarà facile. I nemici interni ed esterni della rivoluzione venezuelana saranno soddisfatti solo quando questa sarà sconfitta. È un esempio troppo pericoloso per l’America Latina e il resto del mondo. Toccherà alle avanguardie lavorare per costruire quel partito rivoluzionario, necessario per organizzare i lavoratori e permettergli di trasformare le assemblee di base che sono sorte in ogni angolo del paese (patrullas, comitati di terra, comitati bolivariana, comandi Maisanta) in veri e propri organismi di un nuovo potere socialista che apra la strada all’abbattimento del capitalismo, all’origine delle sofferenze delle masse venezuelane.