“La vittoria dei conservatori apre un nuovo ed incerto periodo per la Gran Bretagna” (Financial Times, 9 maggio 2015), questo è il giudizio sui risultati delle elezioni del giornale di riferimento della classe dominante britannica.
Crisi politica
Un terremoto. Questo sono state le elezioni. L’epoca della stabilità politica è tramontata anche nel paese preso a modello di saggezza dai politici borghesi in Italia. Il bipartitismo tra conservatori e laburisti è in crisi. Nel 1950 quei due partiti raccolsero oltre l’86% dei voti, oggi quella somma non supera il 65%. La vittoria dei conservatori, liberatisi degli alleati liberal-democratici ridotti al lumicino, scatenerà a breve un’offensiva profonda contro la classe lavoratrice. Il nuovo Ministro del commercio ha già annunciato l’intenzione di ridurre ulteriormente il diritto di sciopero nel pubblico impiego, nei trasporti, nella scuola e nella sanità.
Col 36% dei voti ed una risicata maggioranza parlamentare, i conservatori del primo ministro uscente David Cameron si sono confermati alla guida del governo.
Per raggiungere questo risultato, i Tories non hanno esitato a usare la più sfacciata retorica anti-europea, fino a promettere un referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Un’eventualità dunque non più remota ma che costituirebbe un disastro per il capitalismo britannico che si isolerebbe ancor di più. A Cameron tuttavia interessava frenare l’avanzata dello Ukip (Partito dell’indipendenza del Regno Unito) alla sua destra.
Malgrado cinque anni di tagli ed austerità targati Cameron, il Partito laburista ha condotto la campagna elettorale in nome della “responsabilità fiscale”, ovvero del prolungamento delle stesse politiche. Ne è uscito pesantemente sconfitto, stagnante attorno al 30% e spazzato via nei suoi tradizionali bastioni in Scozia dal Partito nazionale scozzese (Snp). I nazionalisti inglesi dello Ukip ottengono il 12% ma perdono mezzo milione di voti sulle Europee del 2014. A sinistra del Partito laburista, circa un milione di voti (4%), soprattutto giovanili, vanno ai Verdi, mentre i piccoli gruppi di estrema sinistra racimolano pochi decimali di punto.
In altre parole non esiste, oggi, un’alternativa di massa al partito laburista.
Il Partito laburista
I capi riformisti della sinistra e del movimento sindacale hanno l’abitudine, auto-assolutoria, di rimproverare le masse di ogni loro sconfitta. Per i marxisti, invece, il luogo comune che i popoli hanno i governi che meritano è superficiale.
In questo caso, la dirigenza laburista di Ed Miliband ha fatto di tutto per mostrarsi affidabile agli occhi della classe dominante. In epoca di crisi del capitalismo, i padroni non sono disponibili neanche a piccole riforme e così Miliband si è accodato alle politiche di austerità; nel settembre 2014, nella campagna referendaria sull’indipendenza in Scozia, il Partito laburista ha fatto campagna per il no gomito a gomito coi conservatori. Non c’è allora da meravigliarsi se in Scozia i laburisti hanno perso 40 dei 41 seggi che avevano vinto nel 2010, mentre il Snp conquista circa il 50% dei voti assoluti e 56 seggi uninominali su 59. Al momento, non registriamo nessuna significativa reazione di sinistra all’interno del partito. Al contrario, le dimissioni di Miliband sono state seguite da un’offensiva dell’estrema destra interna dei seguaci di Tony Blair secondo i quali il partito è ancora troppo a sinistra.
È possibile in Gran Bretagna uno sviluppo alla Podemos?
Il Partito laburista conserva tuttora radici nella classe lavoratrice più profonde di quelle che aveva il Pasok in Grecia. Un suo recupero, quindi, non è certo da escludere, specie dall’opposizione. Solo in base a rilevanti mobilitazioni della classe, e a una radicalizzazione di massa, con un ulteriore spostamento a destra della dirigenza laburista, crescerebbero le possibilità che l’enorme malcontento accumulatosi trovi un’espressione in formazioni percepite come “radicali” ed esterne all’attuale sistema politico, come avvenuto in Spagna con Podemos.
Su queste basi, un certo numero di federazioni sindacali potrebbero favorire tale processo. John Mc Kluskey, il segretario di Unite, la federazione sindacale più possente di Gran Bretagna, ha detto che il mantenimento dell’affiliazione del suo sindacato al Partito laburista, ora contestata soprattutto in Scozia, dipenderà da quanto farà il Labour nel prossimo periodo.
La questione scozzese
In Scozia, la rabbia sociale ha trovato un canale di espressione nell’appoggio all’indipendenza e nel voto al Snp. Già nel settembre 2014 i due centri maggiormente proletari, Glasgow e Dundee, avevano votato a maggioranza per la separazione da Londra. Il Snp è passato in un anno da 25mila a 110mila membri ed ha una frazione sindacale con più iscritti dell’intero Partito laburista scozzese. I Verdi sono saliti a 9mila iscritti ed il Partito socialista scozzese è passato da alcune centinaia ad alcune migliaia di aderenti.
Il sostegno maggioritario al Snp non è un sintomo di nazionalismo virulento dei lavoratori scozzesi quanto piuttosto la ricerca, confusa, di un’alternativa all’austerità ed al sistema politico di Westminster. La segretaria del Snp, Nicola Sturgeon, ha compreso questo clima ed ha astutamente dato una pennellata di sinistra al programma del suo partito.
Se però guardiamo da vicino il programma del Snp, troviamo rivendicazioni padronali come la riduzione delle tasse e del costo del lavoro per le imprese oppure il mantenimento della monarchia e della presenza nell’Ue. Laddove governano a livello locale, peraltro, i sindaci nazionalisti non si sono opposti ai tagli provenienti dal governo centrale. Alle elezioni per il parlamento scozzese del 2016 la vittoria del Snp sembra certa ed allora i nodi verranno al pettine, come già sperimentato in Irlanda del Nord. Lì, la partecipazione al governo d’austerità ha dimostrato la natura borghese dei capi del Sinn Fein di Gerry Adams, un tempo alla testa dell’Ira. In ogni caso, l’ascesa del Snp continuerà a destabilizzare tutto il sistema politico.
In Gran Bretagna, negli ultimi cinque anni il potere d’acquisto dei salari è caduto al ritmo più sostenuto tra tutti i paesi del G20, dunque in maniera più rapida che in Spagna o Italia. La vittoria dei conservatori sarà occasione per attaccare ancora di più il tenore di vita della popolazione e la spesa pubblica. Nei piani del governo, la spesa pubblica verrà ridotta entro il 2020 al 35% del Pil, il livello più basso da ottant’anni. È una ricetta fatta e finita per l’esplosione della lotta di classe in Gran Bretagna. Quello che abbiamo visto sinora in Scozia è stato l’antipasto