Un terremoto politico
Mentre scriviamo il neo eletto Tayyip Erdogan, leader del partito islamico moderato AKP che ha vinto le elezioni in Turchia si appresta a rendere visita al governo Berlusconi, prima tappa di un giro che lo porterà in tutte le capitali europee, nella speranza di ottenere una data per l’avvio dei negoziati di adesione della Turchia all’UE. Negli ambienti della sinistra italiana si parla in genere della Turchia, quinta colonna dell’imperialismo Usa, per l’oppressione della minoranza curda o la repressione nelle carceri, ben poco sappiamo invece della situazione del popolo turco soffocato dall’opressione dei militari che dirigono il paese da dietro le quinte, e dalla negazione dei diritti più elementari come il diritto di sciopero, di stampa o di costruire partiti e sindacati dei lavoratori che costringono il movimento operaio turco ad agire in condizione di semi-clandestinità.
Dopo la crisi di governo di agosto e le elezioni, presentate a torto sulla stampa come un possibile ritorno del pericolo islamico, si apre una nuova stagione che potrà in futuro vedere la classe operaia turca essere uno dei principali attori del movimento operaio internazionale.