Balcani - Falcemartello

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A nove anni dalla fine della guerra in Kosovo, si ritorna a parlare di questa piccola regione dei Balcani. All’inizio di febbraio il governo di Pristina dichiarerà l’indipendenza dalla Serbia dell’enclave a maggioranza albanese.

Un nuovo crimine dell’imperialismo

Siamo a una settimana dall’inizio dei bombardamenti sulla Jugoslavia. Osservatori indipendenti hanno confermato che sono stati colpiti civili anche in Montenegro, nonostante il dissenso di questa repubblica verso la politica di Milosevic. Ormai nessuno può più credere alla farsa delle "bombe intelligenti" che colpiscono solo obiettivi militari.

OPUSCOLO
 
"Un movimento rivoluzionario in grado di offrire una resistenza armata ai tentativi di restaurazione, che costringe gli autori di questi tentativi a ricorrere all’aiuto straniero, un simile movimento non può essere distrutto." Lenin

La sollevazione di lavoratori, soldati, contadini e studenti in Albania è di ispirazione per la classe operaia e i giovani di tutto il mondo. Rappresenta una forte risposta a tutti i cinici, i codardi e gli scettici che dubitavano del potenziale rivoluzionario della classe operaia.

Il prezzo delle contraddizioni capitaliste

 

Il 12 marzo il primo ministro serbo Zoran Djindjic è stato ucciso da due o tre cecchini nel cortile dello stesso palazzo del governo. Questo avvenimento pone la parola fine alle illusioni sulla possibilità di una Serbia “europea”, cioè con un capitalismo politicamente stabile e relativamente prospero.

In realtà questo assassinio non deve apparire inaspettato nella situazione serba odierna: negli ultimi due anni i casi irrisolti di assassinii di gansters come pure di funzionari di Stato sono diventati di normale amministrazione in questo paese.


Alle prese con l’intervento della Nato

Il 9 settembre, per i cittadini macedoni, non è una data fra tante. Esattamente il 9 settembre di dieci anni fa, infatti, l’ex Repubblica jugoslava della Macedonia dichiarava la propria indipendenza; "Buona festa, se avete qualcosa da festeggiare": così è stata salutata l’importante giornata da un autorevole quotidiano di Skopje. In tale sarcasmo si legge l’amarezza di chi, dopo aver gioito, dieci anni orsono, per la liberazione dall’"oppressione" di Belgrado, deve oggi fare i conti con il dispotismo ben più vincolante di Washington e Bruxelles, le capitali in cui s’è deciso che la stabilizzazione della regione bagnata dal fiume Vardar val bene l’invio di qualche migliaio di uomini armati.


Con un’operazione militare rapida e indolore l’esercito macedone avrebbe liquidato, negli ultimi giorni di marzo, il problema dell’"estremismo armato" albanese, che, a partire dalla fine di gennaio, aveva creato tutta una serie di grattacapi alla Macedonia nell’area adiacente al confine con il Kosovo. La cacciata di alcune centinaia di terroristi legati all’Uck al di là della frontiera contesa, tuttavia, non risolve uno solo dei problemi di una Repubblica le cui contraddizioni non fanno che riflettere il caos dell’intera Europa sud-orientale: l’instabilità macedone, da più di un secolo, riassume i temi fondamentali dell’intricata questione balcanica.

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