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Inseguendo il dibattito sulla necessità di dotare l’Unione europea di una vera integrazione politica economica e finanziaria, la cui assenza sarebbe all’origine del buio pesto che avvolge l’euro, si è riunito lo scorso 28 giugno un Consiglio europeo al quale sono stati attribuiti immaginifici poteri di salvataggio della moneta unica, a dispetto di una realtà impietosa.

La crisi greca si avvicina a un salto qualitativo. In vista del voto del 17 giugno si sprecano le rassicurazioni, ma tutti sanno che si stanno approntando i piani di gestione per l’uscita dall’euro nel tentativo di minimizzarne le conseguenze e di attribuirne le colpe alla “irresponsabilità” dei greci.

Tutti contenti e soddisfatti: con la ristrutturazione del debito greco e i massicci interventi della Bce, che ha messo a disposizione oltre mille miliardi di euro in prestiti all’1 per cento, sarebbe stata evitata una possibile stretta creditizia. Il panico autunnale sembra già dimenticato.

La zona euro sta attraversando la crisi più grave della sua storia. Dopo la Grecia arriva la crisi italiana che pone un grosso punto interrogativo sul futuro dell’area. Avevamo previsto tempo fa che in una grave crisi, tutte le contraddizioni nazionali sarebbero venute alla ribalta, come ora vediamo con i rapporti tesi tra Grecia, Francia, Germania e Italia. L’Unione Europea è alla resa dei conti.

Il debito pubblico non è pagabile. E in effetti gli istituti finanziari non discutono di questo, ma di come garantire che lo Stato continui a rifinanziare il proprio debito, pagando interessi adeguati.

 

Le piazze di Atene ribollono e il paese è in rivolta, il governo del socialista Papandreu ha i giorni contati ed è tutto da dimostrare che il suo successore, chiunque sarà, attraverso elezioni o con una coalizione di “unità nazionale”, avrà la forza per imporre i piani di “risanamento” che con piglio da padrone l’Unione europea esige in nome e per conto delle banche innanzitutto tedesche.

Si è tenuta recentemente la visita del presidente cinese Hu Jintao negli Usa. Gli analisti ufficiali si sono arrovellati sul significato di questa visita. C'è chi ha contato 101 ragioni di contrasto irrisolte, chi viceversa ha messo in evidenza i buoni affari conclusi, con la firma di nuovi contratti per 45 miliardi di dollari, chi spiega che lo scontro tra i due paesi è inevitabile e latente e chi seraficamente afferma che le due potenze non potrebbero mai fare a meno l'una dell'altra.

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