I lavoratori possono contare solo sulle proprie forze - Falcemartello

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Terremoto in Kashmir


I lavoratori possono contare solo sulle proprie forze

 La calamità naturale che ha colpito un mese fa la popolazione di una delle regioni più povere e martoriate del pianeta ha già reclamato un pesante tributo in termini di vittime, ma le sofferenze della popolazione povera del Kashmir, in particolare nella regione occupata dal Pakistan, sono destinate a protrarsi a lungo per l’indifferenza, l’inettitudine e la totale disorganizzazione dimostrata dal regime militare di Musharraf e dalle classi dominanti di India e Pakistan

Gli aiuti promessi dalle principali potenze - comunque ridicoli, se si considera quanto i governi delle potenze occidentali siano stati disposti e continuino a spendere per finanziare la loro guerra nel non lontano Afghanistan - non sono giunti che in minima parte alla popolazione.

Anticipando l’imbarazzo dei loro padroni, i mass-media hanno in poco tempo derubricato dai loro notiziari il seguito degli avvenimenti nel Kashmir.

 

La bancarotta di Musharraf

Il regime militare di Musharraf non solo ha dato prova di completa inettitudine, ma ha respinto al mittente per motivi propagandistici le offerte di inviare elicotteri da parte indiana, paese con cui il Pakistan è in conflitto pluridecennale per il controllo del Kashmir. Gli elicotteri sono mezzi indispensabili per raggiungere le zone terremotate isolate dalla distruzione delle già insufficienti vie di comunicazione; il Pakistan ne è quasi sprovvisto.

In Kashmir sono presenti centinaia di migliaia di soldati, forse un milione, considerando le truppe schierate da entrambi i paesi. In molti casi le gerarchie militari si sono limitate a presidiare le posizioni, riparare i danni subìti e curare i propri feriti, precludendo alla popolazione l’accesso alle strutture mediche e alle risorse a loro disposizione.

Pakistan e India, nonostante l’emergenza umanitaria, continuano a tenere i propri eserciti schierati al confine “per impedire infiltrazioni di terroristi indipendentisti” dice il governo indiano. In realtà si temono le centinaia di migliaia di profughi che potrebbero sconfinare per cercare cibo e soccorsi che il governo indiano non è disposto a dare. Per settimane è stato sbarrato un accesso che sarebbe stato prezioso per raggiungere più velocemente le zone colpite. Il confine ora è stato parzialmente aperto, ma i controlli sono talmente asfissianti che ogni convoglio proveniente dall’India deve essere scaricato completamente, verificato alla dogana e ricaricato su camion pakistani in una procedura burocratica interminabile che dura ore ed ore. Intanto la gente muore.

Le ultime stime parlano di oltre 80mila morti per il sisma solo nel Kashmir pakistano, il più duramente colpito. La metà delle vittime sono bambini. L’80 per cento degli edifici sono stati rasi al suolo nelle principali città e 4 milioni di persone saranno presto investite dall’inverno senza che siano state approntate strutture per accoglierle. In molti villaggi i soccorsi, a quasi un mese dalla catastrofe, stentano ad arrivare o non sono mai arrivati. In alcuni casi, se i collegamenti saranno interrotti dalla neve, potrebbe diventare impossibile raggiungere i villaggi più remoti fino alla primavera!

 

Il capitalismo trasforma la tragedia in incubo

La tragedia della massa della popolazione del Kashmir è inasprita dal capitalismo. “Che c’entra il capitalismo? Qui siamo di fronte ad una catastrofe naturale!”, qualcuno dirà, accusandoci di essere i soliti comunisti. Invece c’entra eccome.

Come è universalmente noto i terremoti non possono essere previsti, o meglio non può essere prevista che la probabilità di un sisma. Gli abitanti di aree come la California o il Giappone lo sanno bene. Proprio per questo motivo nei paesi capitalisti avanzati sono state investite enormi risorse per progettare e costruire gli edifici, le strade, le infrastrutture in modo che possano resistere ad un sisma o perlomeno che non crollino completamente.

Il Pakistan (così come l’India) è una delle potenze nucleari del mondo. Per decenni i regimi marci e corrotti del subcontinente indiano hanno preferito - con la benedizione di tutte le potenze imperialiste, Usa in testa, e delle istituzioni internazionali - finanziare i loro ipertrofici eserciti per alimentare le proprie ambizioni egemoniche piuttosto che investire nelle infrastrutture e nell’assistenza sanitaria, inadeguata alle esigenze ordinarie della popolazione, figuriamoci a fronteggiare un disastro di tale portata.

Il bilancio dello Stato pakistano per l’anno in corso parla chiaro: a fronte di 277 miliardi di rupie per le spese militari sono previsti 11,7 e 4,1 miliardi rispettivamente per l’istruzione e la sanità.

La totale assenza di investimenti per la sicurezza delle popolazioni in una zona notoriamente sismica è la spiegazione del bilancio così drammatico in termini di vite umane. A ciò si somma la mancanza di strutture per la protezione della popolazione civile (che devono essere create prima di un’emergenza e come si è visto non possono essere improvvisate).

La lentezza o la totale assenza dei soccorsi è stata denunciata da mille voci tra i sopravvissuti, che spesso hanno dovuto tentare di scavare a mani nude tra le macerie per estrarre i loro cari sepolti. La rabbia e l’esasperazione della popolazione contro le autorità ha raggiunto il livello di guardia in molte zone colpite.

Molti medici di organizzazioni internazionali hanno testimoniato di aver trovato per giorni la più completa disorganizzazione e la mancanza del minimo punto di riferimento che coordinasse i soccorsi. Migliaia di persone avrebbero potuto essere salvate, ma sono morte intrappolate sotto le macerie.

Le strutture sanitarie sono completamente insufficienti a fronteggiare il rischio concreto di un’epidemia.

Il capitalismo, incapace di garantire condizioni di vita umane alla popolazione in tempi normali, ora sta mostrando la propria completa bancarotta. La borghesia pakistana non si è fatta scrupolo di trarre benefici dalla tragedia in corso. Tutti i generi di prima necessità, in particolare coperte, tende, materiale sanitario e quanto fosse necessario per garantire i primi soccorsi, hanno visto raddoppiare, triplicare i propri prezzi a causa di speculatori senza scrupolo.

Le compagnie di noleggio dei mezzi di trasporto hanno aumentato esponenzialmente le proprie tariffe nella completa indifferenza del governo.

 

I lavoratori reagiscono con la mobilitazione

Ben diverso è l’atteggiamento dimostrato dalla maggioranza povera ed oppressa della popolazione in tutto il subcontinente indiano, che sta alimentando con enorme generosità e spirito di sacrificio la raccolta incessante di volontari, mezzi e generi di prima necessità che le loro stesse organizzazioni stanno inviando direttamente nelle zone colpite.

L’iniziativa lanciata immediatamente subito dopo il disastro dalla tendenza marxista “The Struggle” dell Ppp (Partito popolare pakistano), dalla Pakistan Trade Union Defence Campaign (Ptudc) e dalla Youth For International Socialism (Yfis) di lanciare una campagna di intervento diretto da parte delle organizzazioni dei lavoratori a sostegno dei propri fratelli e sorelle colpiti dal sisma ha avuto una vasta eco nel movimento operaio in Pakistan e in India.

Il presidente della Ptudc Manzoor Ahmed, parlamentare marxista del Ppp all’Assemblea Nazionale pakistana, ha criticato frontalmente l’inettitudine delle autorità ed ha rivolto un appello alla mobilitazione diretta delle organizzazioni della classe lavoratrice.

Nell’arco di poche ore è stata lanciata una campagna internazionale per la raccolta di fondi nel movimento operaio a cui hanno aderito organizzazioni di decine di paesi, è stato istituito un centro di coordinamento delle operazioni a Lahore e sono stati aperti centri di raccolta e smistamento della Ptudc in ciascuna delle più importanti città del Pakistan (Quetta, Hyderabad, Multan, Rahimyarkhan, Peshawar, Dadu, Lahore, Kasur, Wah, Taxila, Bhawalpur, Rawalpindi, Islamabad, Gujranwala, Thatta, Jampur, Dera Ghazi Khan, Kalat, Okara ed altre). Immediatamente sono state inviate le prime squadre di medici e di volontari e nell’arco di 48 ore sono stati aperti campi di primo soccorso nelle principali città del Kashmir, per poi aprirsi la via per costruire nuovi campi nelle comunità più lontane.

Ora i “Campi di solidarietà rivoluzionaria” della Ptudc sono in pieno funzionamento, alimentati dalle “Carovane di solidarietà rivoluzionaria” provenienti dal resto del paese e dall’India. Stanno prestando soccorso medico e riparo a migliaia di persone, ma non basta. Solo organizzando e mobilitando i lavoratori del Kashmir, uniti ai loro fratelli del resto del Pakistan e dell’India, si potranno porre le basi per fronteggiare il prossimo periodo.

Lo scopo di questa campagna infatti è di portare soccorso alla popolazione più povera e di aiutare allo stesso tempo i lavoratori del Kashmir a ripristinare il funzionamento delle loro organizzazioni.

Assistere la popolazione significa anche aiutarla a riorganizzarsi, a risollevarsi in piedi e a comprendere le responsabilità del regime di Musharraf (e della classe dominante nel suo complesso) nella tragedia. Aiutarli a far crescere una mobilitazione che imponga al regime di destinare le risorse necessarie alla ricostruzione. Far sapere ai militanti rivoluzionari e a tutti i lavoratori del Kashmir che in questa lotta non sono da soli, ma sono sorretti dai loro fratelli che lottano in tutto il subcontinente indiano e a livello internazionale. Aiutarli a risollevarsi per dare nuovo impulso alla lotta delle masse contro l’oppressione capitalista.

La risposta è stata enorme. I mezzi però sono molto limitati e l’aiuto finanziario da parte del movimento operaio internazionale sarà decisivo per sostenere ed estendere l’azione della campagna.

Nonostante la chiusura del confine tra India e Pakistan e i continui ostacoli frapposti dalle autorità dei due paesi ben due “Carovane di solidarietà rivoluzionaria” provenienti dall’India, guidate da dirigenti di organizzazioni operaie indiane, sono riuscite a passare. Questo ha un valore simbolico decisivo, considerando che India e Pakistan sono in guerra da decenni proprio per il controllo del Kashmir e dimostra a tutti i lavoratori della regione che uniti possono esprimere una forza invincibile.

La tragedia contribuirà a chiarire alle masse oppresse del Kashmir, del Pakistan e dell’India chi sono i loro veri alleati e quali sono i nemici da combattere.

Nelle assemblee promosse dalla Ptudc fra i lavoratori che si stanno raccogliendo intorno alla campagna nel Kashmir emerge in embrione quello che potrebbe diventare il programma di rivendicazioni della mobilitazione di massa dei prossimi tempi.

· Stabilire ovunque comitati popolari di soccorso e ricostruzione per controllare le operazioni di assistenza e ricostruzione.

· Introdurre una tassa del 25% sui profitti di tutte le multinazionali, delle imprese capitaliste e sulla rendita del latifondo per raccogliere le risorse per la ricostruzione e per il soccorso alle popolazioni colpite.

· Cancellazione di tutte le imposte per i lavoratori e i contadini delle aree colpite.

· Posti di lavoro per i disoccupati o salario minimo garantito di 5000 Rs (80 dollari) al mese a tutti.

· Abolizione del sistema degli appalti; tutte le operazioni di soccorso-ricostruzione devono essere poste sotto il controllo dei comitati popolari.

· Forniture gratuite di elettricità, gas naturale e carburanti per le vittime.

· Annuncio di una moratoria immediata del debito con le nazioni imperialiste per almeno 20 anni. Tutte queste risorse devono essere impiegate per la ricostruzione delle aree devastate.

A fronte dell’impotenza e del fallimento della classe dominante, le masse oppresse che hanno sofferto il peso della devastazione devono organizzarsi. La lotta di classe deve preparare il terreno per una trasformazione socialista della società!

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11 novembre 2005.