La legge 30 non è migliorabile! - Falcemartello

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Perchè ci opponiamo alla legge regionale 
dell'Emilia Romagna

Parte dai governi locali l’offensiva della Grande Alleanza Democratica per contrastare la legge 30…”. Così Liberazione il 7 di dicembre ha salutato la legge regionale dell’Emilia Romagna, approvata in prima istanza dalla Giunta e attualmente in discussione in Consiglio Regionale (dove il Prc è in maggioranza col centrosinistra).

La legge 30 demanda alle Regioni la sua stessa applicazione regolamentazione. Ed è quello che intende fare questa legge regionale su alcuni temi posti dalla legge 30, che, ricordiamolo, è il provvedimento del governo Berlusconi che precarizza enormemente il mercato del lavoro deregolamentando vecchie forme contrattuali già esistenti, come l’interinale, e creandone altre ancor più precarie (vedi FalceMartello n. 169).

Il progetto di legge nelle sue finalità dice di voler “favorire l’acquisizione di condizioni lavorative stabili”, “superare le discriminazioni fra uomini e donne” e “promuovere pari opportunità e qualità della condizione lavorativa degli immigrati”.

Così, in un contesto in cui la legge 30 e la Bossi-Fini massacrano precisamente precari, donne e immigrati, ci si racconta che l’argine sarà una legge regionale. Da notare che una successiva circolare del governo chiarisce che le donne di tutte le regioni d’Italia, e non solo delle “aree svantaggiate del paese” come inizialmente si pensava, sono considerate soggetti deboli e quindi possono essere tra quei soggetti a cui le aziende possono proporre i nuovi contratti di inserimento, cioè contratti precari, a tempo determinato, con salari più bassi e due livelli di inquadramento inferiori a quelli previsti dai rispettivi Contratti Nazionali di Lavoro!

I contratti di inserimento, successivamente all’uscita della legge 30, sono stati a loro volta regolamentati da un accordo nazionale siglato da Confindustria e Sindacati, Cgil compresa.

Si spacciano per miglioramenti i soliti incentivi a chi trasforma il rapporto di lavoro da precario a tempo indeterminato: soldi, soldi e ancora soldi, sottratti ai lavoratori che pagano le tasse, nazionali o regionali che siano, che vengono dati a chi in questi anni ha fatto lauti profitti a scapito dei salari e delle condizioni di lavoro nella speranza di convincere gli imprenditori che conviene assumere a tempo indeterminato ed essere magnanimi.

E ancora: si legge che la Regione intende “sostenere il reinserimento lavorativo, anche in forma autonoma o associata…”. Si tratta di contributi economici e “assegni di servizio” erogati a lavoratori e datori di lavoro finalizzati “all’acquisizione da parte dei lavoratori di una condizione occupazionale attiva, in forma subordinata, non subordinata, autonoma o associata, ovvero al suo mantenimento…” (corsivi nostri). Parliamo dei contratti formalmente autonomi o parasubordinati e di cooperative che di fatto mascherano lavoro dipendente? Ecco che la precarietà rientra dalla finestra.

Verrebbero poi sostenuti anche i “processi aziendali di trasformazione organizzativa e di innovazione tecnologica finalizzati alla stabilizzazione del lavoro”. Ma quando mai le ristrutturazioni non hanno significato espulsione di lavoratori da processi produttivi e dunque licenziamenti?

Sul tema dei disabili poi, la legge regionale applicherebbe parzialmente la legge nazionale. Le aziende infatti, potranno anche in Emilia Romagna, stipulare delle convenzioni con cooperative sociali alle quali affidare i lavoratori invalidi. Le aziende, in teoria, in questi anni, avrebbero dovuto assumere obbligatoriamente gli invalidi secondo una quota percentuale prevista dalla legge sul collocamento obbligatorio. Ora invece le cooperative potranno assumerli con salari molto inferiori ai minimi sindacali previsti dai Contratti Nazionali. È questa l’integrazione sociale che la Regione propone per superare il disagio di essere disabili: nuovi ghetti! La parzialità dell’applicazione sta nel prevedere questa modalità per la copertura delle percentuali obbligatorie da riservare ai disabili “solo” nella quota del 30%. Non ci pare francamente una gran conquista dal momento in cui la regione fa passare nel progetto di legge un principio così pericoloso.

Infine si stabilisce che la durata massima dei tirocini non può superare i 12 mesi, estendibili a 24 mesi nel caso di iniziative rivolte a disabili.

Non è un caso che la Gad stia elevando leggi regionali come questa ad esempi positivi di come “migliorare” la legge 30. Questo contrasta totalmente con la posizione proclamata dal Prc fin dall’inizio, di abrogazione della “legge Biagi”. È forse per questo che anziché di abrogazione si comincia a parlare di “superamento”? La legge regionale non è stata ancora approvata in via definitiva e il Prc in Emilia Romagna è ancora in tempo per tornare sui suoi passi!

Il segretario regionale della Uil Merloni ha dichiarato sul Sole24Ore “…il testo ha il pregio di non essere una legge-manifesto contro le norme statali…”; ci pare purtroppo che la sua valutazione sia assai più esatta di quella apologetica data dal gruppo dirigente del Prc.