Sono anni che va avanti una campagna martellante sull’ "imminente" crisi dell’Inps con lo scopo di preparare le condizioni per distruggere il diritto ad una pensione adeguata per affrontare umanamente la vecchiaia.
Se guardiamo la situazione in prospettiva non dobbiamo sorprenderci, poiché i sistemi pensionistici pubblici esistono solo da alcuni decenni, dopo che per molti anni, il movimento operaio li aveva inclusi tra le sue rivendicazioni.
Nella maggior parte dei paesi capitalistici l’odierno sistema pensionistico è stato organizzato tra gli anni ’50 e ’70, nel periodo di maggior crescita economica della storia. Mentre l’economia cresceva del 5-6% all’anno i capitalisti hanno preferito fare concessioni piuttosto che scontrarsi coi lavoratori, ma ora che la crescita è più che dimezzata tutto viene messo in discussione.
A sentire i signori capitalisti è indiscutibile che l’attuale sistema non regge più. Ma le cose stanno veramente così?
Si dice che il calo del numero di lavoratori in attività e il contemporaneo aumento dei pensionati porterebbe al collasso del sistema. Sembra logico, ma non considera una variabile decisiva: la produttività, cioè l’indice che misura la produzione per addetto. Questo indice è aumentato del 500% negli ultimi quarant’anni; con la rivoluzione tecnologica e informatica in atto potrebbe aumentare di altre cinque volte nei prossimi venti anni! Questo vuol dire che per costruire una casa, un’automobile, una sedia, per gestire un ospedale o un qualsiasi ufficio, sono necessarie meno persone. In ultima istanza ciò significa che si possono produrre più beni e servizi con una minor spesa e con meno persone. Dunque l’invecchiamento della popolazione non porta dritto al collasso del sistema pensionistico. Con la produttività degli anni ’50 era necessario un lavoratore attivo per ogni pensionato, con la produttività degli anni ’90, ne basterebbe uno attivo per ogni tre pensionati.
Naturalmente questo calcolo è valido a livello macroeconomico poiché non è scritto da nessuna parte che la ricchezza prodotta in più (conseguenza dell’aumento della produttività) sia distribuita equamente. Quando un lavoratore è costretto a lavorare in nero, neanche una lira della richezza da lui prodotta va al sistema pensionistico. Le aziende, anche le più grosse, mantengono regolarmente debiti miliardari con l’Inps. Dipenderà dal rapporto di forza tra chi ha il capitale e chi lavora per un salario, su come sarà distribuita la ricchezza prodotta.
In questi giorni la Fiat canta le meraviglie della nuova fabbriche di Melfi. Sentiamo che ogni operaio farà 79 auto all’anno quando la media in Europa è di 48!
Cioè l’operaio di Melfi farà guadagnare alla Fiat il doppio rispetto a quello di Mirafiori ma non ci risulta che ciò abbia conseguenze sul suo stipendio anzi è vero proprio il contrario! Grazie all’inesistenza di una tradizione sindacale nella zona e all’arrendevolezza dei dirigenti sindacali di Cgil-Cisl-Uil, alla Fiat costano meno i lavoratori di Melfi che quelli di Arese o Mirafiori!
Ma allo stesso tempo che i lavoratori supersfruttati di Melfi danno superprofitti - proprio per ciò - si chiudono Chivasso , Arese e domani interi reparti di Mirafiori.È chiaro che mantenenere dei lavoratori disoccupati sia uno spreco per la società, oltre ai problemi del singolo malcapitato, ma gli stessi signori che tentano di farci accettare pensioni da fame ci dicono che "dobbiamo abituarci a convivere con la disoccupazione"
Questo lungo discorso per dimostrare una cosa fondamentale: la produzione della ricchezza sociale e la sua distribuzione non è sotto il controllo della collettività ma è un affare privato di chi ha in mano le aziende.
Questo significa che, prima di accettare qualsiasi discorso che pretende di essere obiettivo sulle risorse disponibili, bisogna cercare risposte a domande come queste: chi decide cosa produrre? Chi decide come (con quali tecnologie), dove ecc. produrre? E soprattutto, chi decide come distribuire il frutto del lavoro svolto da noi tutti?
(1 - continua)
Pensioni: il grande inganno (2ª parte)
Come abbiamo visto nella puntata precedente è fuorviante presentare studi "obiettivi" sulle pensioni. In una società divisa in classi, dove quasi l’80% della popolazione è alle dipendenze di chi ha i capitali, decidere quale parte della ricchezza creata col lavoro di tutti andrà agli azionisti, quale alle spese sociali, quale ai salari... è innanzitutto una questione di interessi contrapposti.
È dunque una questione politica, che si risolve sul terreno della lotta.
Ma vediamo ancora da vicino le argomentazioni cosiddette "scientifiche". Si dice che si debba passare da un sistema a ripartizione (le pensioni si pagano coi contributi dei lavoratori in attivo) ad uno a capitalizzazione (le pensioni si pagano coi profitti usciti dall’investimento dei contributi versati in passato). La prima domanda da fare e: perché non può l’Inps investire già oggi i propri capitali? La realtà è che di fatto già lo fa, ma senza nessun guadagno. L’Inps è la maggior fonte di danaro contante (a costo zero) per le casse statali, che altrimenti dovrebbero richiedere questi soldi sul mercato dei titoli di stato pagando gli interessi. ( Nel 1992 il governo Amato non restituì 7.000 miliardi prestati dall’Inps; nel ‘93 Ciampi non restituì 16.197 miliardi usati per spese assistenziali; il tutto in barba alla legge 88 del 1989 che fissava la separazione delle casse della previdenza e dell’assistenza).
Il governo e la Confindustria propongono la creazione di Fondi Pensione privati che - come succede in tutti i paesi - investiranno più del 50% dei capitali proprio in Bot e Cct. Ma gli interessi saranno intascati da lor signori!
Fondi Pensioni Privati
I Fondi Pensione privati sono fortemente voluti dai capitalisti perché sono una fonte di capitali a basso costo e disponibili per molti anni. Si dice che usati in Borsa servirebbero a creare ricchezza della quale guadagneremo tutti. Chi può credere a queste favole? È così lontano il crack delle borse mondiali nel 1987 e 1988? Non è forse vero che la borsa di Tokyo (il paese capitalista più competitivo) ha perso il 50% del suo valore negli ultimi 3 anni?
Si dice che l’autorità governativa controllerà i Fondi in modo che non possano usare i capitali loro affidati in attività speculative...; ma non ci fate ridere, tutta l’attività borsistica è basata sulla speculazione! A livello mondiale ogni giorno si muovono 1000 miliardi di dollari, solo il 5% di questa cifra rappresenta pagamenti di beni e servizi, il resto è spostamento di capitali per motivi speculativi.
Il caso italiano è clamoroso perché il primo ministro è anche proprietario della Mediolanum Assicurazioni e del terzo gruppo economico del paese. Ma anche in Inghilterra, dove "formalmente" non c’è commistione tra interessi pubblici e privati abbiamo visto nei mesi passati la bancarotta della Holding Maxwell che ha lasciato sul lastrico 50.000 futuri pensionati che da 18 anni versavano le loro quote...
Truffa di massa
È in gioco una questione vitale: la sicurezza nella vecchiaia di decine di milioni di persone. Il nuovo sistema è profondamente ingiusto, costituisce una truffa di massa per rosicchiare i già insufficienti salari attuali in cambio dell’insicurezza per il domani.
Si truffa chi non è arrivato ai 20 anni di contributi, giacché non avrebbe diritto alla pensione d’anzianità.
Si dimezzano le pensioni per chi aveva meno di 15 anni di contributi alla fine del 1992 ( più della metà della forza lavoro italiana). Non è assicurato il valore nel tempo giacché le pensioni verranno aggiornate in base al tasso d’inflazione "programmato" dal governo, non in base all’aumento reale dei prezzi.
Lo scopo è costringerci tutti a fare una pensione integrativa (magari utilizzando i soldi della liquidazione e quote di salario). Di fronte all’insicurezza ci verrà proposto di "diversificare" il nostro investimento facendo più di una pensione privata. Quanto saranno felici le banche e assicurazioni!, ma quanti se lo potranno permettere?
Assieme allo smantellamento del servizio sanitario nazionale (Forza Italia propone di privatizzare tutti gli ospedali), della scuola e l’Università pubbliche, della costruzione di case pubbliche a prezzi modici ( a proposito chi sta usando le trattenute Gescal della busta paga?) la distruzione del sistema pensionistico pubblico prepara una società ingiusta, dove i ricchi saranno più ricchi e i poveri più poveri, dove saremo costretti a lavorare fino ai 65 o perfino ai 70 anni col rischio incombente che un incidente, un crollo di borsa, la perdita del lavoro potranno portare una famiglia in pochi mesi dall’agiatezza alla povertà.
Sarà duro ma è necessario per il futuro dei nostri figli ci dicono gli "esperti"; prima si prende l’amara medicina meglio è, più tardi sarà peggio e via di questo passo.
Questa è l'unica possibiltà oggi, ci dicono in mille salse, accontentatevi!; questo è quello che passa il capitalismo diciamo noi; allora vogliamo organizzare la società in modo che sia possibile usare tutte le risorse disponibili in modo di creare la ricchezza sufficiente, che distribuita equamente possa assicurare una vita decente a tutti. Non possiamo accettare che col livello tecnologico e la produttività attuali non si possa andare in pensione, già ora, a 60 anni e domani a 50!
Cominciamo dall’opposizione frontale a questa truffa sulle pensioni e lottiamo per:
* Sistema pensionistico unico, basta con i fondi corporativi, privilegiati ma garantiti dallo stato, col pieno riconoscimento dei diritti acquisiti da chi ha versato i contributi
* Separazione immediata tra le casse della assistenza e la previdenza,
* Pensione a 35 anni di contributi e in ogni caso a 60 anni di età
* No all’instaurazione di un minimo di contributi per aver diritto alla pensione. Pensione minima di £.800.000, indipendentemente dei contributi versati
* Scala mobile trimestrale sulle pensioni in base all’aumento dei prezzi
* Elezione dei dirigenti dell’Inps da parte dei lavoratori contribuenti. Revocabilità in ogni momento. Il salario dei funzionari dell’Inps non sarà mai superiore a quello di un 5º livello della categoria più numerosa
Tutte queste misure - se attuate - servono solo a bloccare temporaneamente l’affossamento del sistema pubblico pensionistico. Ma non basta. In ultima istanza il nostro futuro dipende dalla capacità della società di produrre ricchezza. Tra il 1950 e il 1975, in un quarto di secolo che ha costituito un’eccezione storica, il capitalismo è riuscito ad assicurare una crescita economica sostenuta e lavoro per tutti (in patria o all’estero).
Oggi non è più cosi. Dal 1974 l’economia italiana e mondiale ha cominciato ad accumulare contraddizioni, che i padroni hanno tentato di bloccare con delle toppe ogni volta più spericolate e contraddittorie (vedi art. a pag. 12). Ma c’è una linea di tendenza chiara: si tratta di ridurre la parte del prodotto sociale che va ai dipendenti per accrescere quella dei capitalisti ( pardon, imprenditori). La realtà oggi è piena di lavoro nero, sottopagato, finti "lavoratori autonomi" costretti a lavorare con la ritenuta d’acconto perché così l’azienda risparmia i contributi. Il futuro è pieno di insicurezza, flessibilità (del lavoro), che si deve adeguare alle esigenze del capitale, disoccupazione e lavoro precario.
Perciò occorre una discussione sul futuro di questo sistema, sulle alternative, sulle possibilità di organizzare la società e l’attività economica in base agli interessi della maggioranza della popolazione e non di quella cricca minoritaria (in nessun paese superano il 10%) che ha in mano più del 50% di tutte le ricchezze.
Pubblicato su FalceMartello n°93-94