Il mese di gennaio è stato tra i più pesanti e violenti per la popolazione del Donbass.
Tredici le vittime a Donetsk la settimana scorsa, dodici morti e una ventina di feriti due settimane fa a Volnovakha, in entrambi gli attentati sono stati presi di mira autobus in centro città.
Ultima tragica notizia, il massacro di Mariupol, città portuale di poco meno di 500mila anime nell’Oblast di Donetsk, dove il bombardamento al mercato ha causato la morte di venti persone e più di un centinaio di feriti.
Non si tratta mai di obiettivi casuali. Le fermate e i mezzi di trasporto pubblici, i mercati, sono diventati i bersagli principali delle artiglierie dell’esercito ucraino, insieme ad abitazioni, ospedali, scuole e asili.
Kiev ancora all'offensiva
Il governo di Kiev, che non riesce a sonfiggere gli insorti, pronti a sacrificare la propria vita pur di difendere l'indipendenza del proprio territorio, ricorre ormai soprattutto ai bombardamenti e agli attentati terroristici nei centri abitati. Il presidente Poroshenko ha iniziato l’anno lanciando una nuova offensiva verso le repubbliche ribelli, disponendo il richiamo alla leva di altri 100mila soldati.
In questa azione è sostenuto totalmente dai governi degli Stati uniti e dell’Unione europea. Bruxelles ha recentemente ribadito la propria posizione unilaterale e ha rinnovato le sanzioni contro la Russia.
Tutto ciò è servito a ben poco, l'esercito delle Repubbliche sta avanzando in maniera significativa verso Mariupol, la cui presa rappresenterebbe un vero e proprio smacco per Poroshenko e i suoi.
L'Ucraina vive un processo tanto vivo quanto contraddittorio, alle forze di destra e a quelle naziste infatti si oppone la resistenza e la lotta di classe.
Nelle regioni governate da Kiev continua il terrore bianco, protetto e spesso promosso dalle istituzioni stesse. Nelle stesse ore in cui il Presidente ucraino Poroshenko sfilava a Parigi insieme ai potenti di tutto il mondo in difesa della “libertà di espressione”, nella regione di Svyatosjinskiy delle squadracce fasciste attaccavano e distruggevano la sede locale del Partito comunista, mentre il parlamento di Kiev discute di mettere al bando il Partito comunista e di proibire la stessa “ideologia comunista” in tutto il paese. Ecco fino a che punto si spinge l'ipocrisia della classe dominante!
Lo scorso 1 gennaio, con una fiaccolata per le strade di Kiev, nazionalisti ucraini avevano celebrato il 106° anniversario della nascita, il 1 gennaio 1909, del capo del cosiddetto Esercito insurrezionale ucraino (Upa), Stepan Bandera che, nella seconda guerra mondiale, si schierò con l’esercito nazista e perpetrò, insieme alle SS tedesche, crimini contro i propri connazionali, per lo più ebrei.
Il capo dell’organizzazione di destra "Svoboda", Oleg Tjagnibok, ha chiesto nell’occasione che il governo restituisca a Bandera il titolo di eroe dell’Ucraina e che venga riconosciuta ufficialmente l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun) da lui creata.
Insieme a "Svoboda", alla manifestazione di Kiev avevano preso parte, in tute mimetiche e con stendardi di Upa e Oun, anche rappresentanti di «Pravyj sektor» e del battaglione neonazista "Azov".
Il 15 dicembre, queste formazioni hanno bloccato il convoglio umanitario diretto nel Donbass, dove esiste una seria minaccia di catastrofe umanitaria. Il 23 dicembre, il battaglione “Azov” ha dichiarato di voler prendere il controllo del porto di Mariupol.
La situazione nelle repubbliche ribelli
Processi contraddittori avvengono anche nelle repubbliche ribelli. Sempre ad inizio gennaio infatti arriva la notizia del sequestro di 4 militanti di Borotba. Avvenuto in realtà tra natale e capodanno, i 4 militanti sono stati arrestati dal Battaglione Vostok.
Alcuni giorni dopo, i 4 sequestrati, rinchiusi per due settimane, vengono liberati e contemporaneamente espulsi dalla Repibblica Popolare del Donetsk.
Da questo episodio, Borotba non può più entrare nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, anche se gli attivisti sicuramente non sono intenzionati ad arrendersi.
L'espulsione dei militanti di Borotba è un ennesimo episodio che ci deve portare a fare alcune considerazioni.
Abbiamo sempre sostenuto la resistenza antifascista delle repubbliche ribelli e dato grande importanza al suo iniziale contenuto di classe, ma è chiaro che stiamo assistendo a un tentativo di mettere a tacere le forze di sinistra nelle repubbliche stesse.
Ricordiamo per esempio la mancata presentazione delle liste del Partito comunista nelle elezioni del 2 novembre, sempre nel Donbass e a Lugansk, dovuta, secondo le autorità, a “problemi procedurali”.
Il conflitto sta assumendo sempre più le caratteristiche di un confronto puramente militare, dove l'aspetto politico e antioligarchico della lotta viene messo in secondo piano. Nelle repubbliche popolari, infatti, molti battaglioni operano secondo propri obiettivi, ambigui e spesso riconducibili al nazionalismo russo più retrivo.
In una situazione del genere i militari a Donetsk e Lugansk prendono sempre più potere mentre le forze anticapitaliste sono sempre più soffocate, lo si vede anche dal fatto che tutte le promesse di nazionalizzazione fatte fino ad oggi non sono state rispettate.
Tale aspetto non è affatto irrilevante. Una posizione antioligarchica e un appello alle masse lavoratrici del resto dell’Ucraina potrebbe essere particolarmente preziosa, proprio ora quando la crisi del governo di Kiev è sempre più profonda e una sconfitta in questa nuova offensiva potrebbe portare a proteste di massa. Negli ultimi giorni si stanno già verificando proteste significative in diverse regioni dell'Ucraina occidentale rispetto al nuovo richiamo alla leva predisposto dal governo. Dal 20 gennaio, solo il 62% dei coscritti hanno risposto alla lettera di precetto!
Negli ultimi giorni, infatti, è giunta anche la notizia di uno sciopero spontaneo dei lavoratori del grande stabilimento ‘Yuzhmasch’ di Dnipropetrovsk. Da mesi non vengono pagati gli stipendi. La gran parte della produzione di componenti high-tech in precedenza era diretta alla Russia. Ora le esportazioni sono bloccate e gli impianti sono fermi.
Riprende la lotta di classe quindi, l'unica forza, l'unico movimento reale che può cambiare, capovolgere i rapporti di forza e vincere effettivamente la lotta contro i fascisti e i loro protettori, gli oligarchi di tutte le nazionalità.
Fin dall'inizio abbiamo sostenuto che l’unica via attraverso la quale il movimento anti-Maidan avrebbe potuto avere successo era l’adozione di un chiaro e coerente punto di vista di classe, piuttosto che di uno nazionalista.
Infatti, vista la situazione di crisi di regime a Kiev, le possibilità di connettersi a un movimento di massa all'ovest da parte delle repubbliche popolari dell'est possono diventare realtà solo se si abbandona una posizione nazionalista.
Non lasciamo che vengano soffocate quelle forze all’interno delle Repubbliche, che difendono un chiaro programma anti-oligarchico, in opposizione aperta al capitalismo e un orientamento socialista della lotta! Che vengano messe in pratica misure audaci di esproprio dei capitalisti che possano connettersi e ispirare l’inevitabile movimento contro l’austerità imposta dal FMI e contro la guerra nel resto dell’Ucraina!