Nessuna pace. Questo è il messaggio consegnato dal risultato delle elezioni politiche del 25 ottobre, che ha visto l’affermazione del partito della guerra, attorno al Primo ministro Yatseniuk. Messaggio ribadito dall’atteggiamento dell’amministrazione americana, che al G20 australiano ha respinto ogni mediazione con Putin e ha esteso il periodo di permanenza delle truppe Nato in Polonia e nei Paesi baltici per tutto il 2015, come “mezzo di dissuasione” nei confronti della Russia. Tali truppe sono state impegnate nelle manovre militari dell’alleanza “Trident juncture” e hanno sfilato a Riga il 17 novembre scorso.
Gli Usa si stanno impegnando in maniera significativa per “aiutare” il governo ucraino. Sono stati già stanziati 20 milioni di dollari per risollevare l’economia e la Casa Bianca ha chiesto al congresso l’autorizzazione per altri 45 milioni di dollari in aiuti militari. Un aiuto che si traduce in un intervento diretto da parte dell’amministrazione Obama nella vita politica del paese. Il vicepresidente Joe Biden, giunto in visita a Kiev nei giorni scorsi, è stato perentorio: “Il nuovo governo deve essere formato nei prossimi giorni, non nelle prossime settimane”. Il tono è simile a quello che lo Zio Sam usava in passato nel confronti di qualche “Repubblica delle banane” dell’America centrale...
Come un fedele cagnolino il presidente Poroshenko ha subito richiesto l’adesione dell’Ucraina alla Nato ed ha rullato i tamburi di guerra. Ha stracciato l’accordo di Minsk, del 5 settembre scorso, per il cessate il fuoco e ha sospeso i trasferimenti finanziari alle repubbliche “ribelli” di Donetsk e di Lugansk, destinandoli ai territori controllati dalle milizie governative. Tali trasferimenti riguardavano anche pensioni, scuole ed ospedali.
Non fare alcuna concessione, questa è la strategia di Poroshenko per cercare di mantenere unita la maggioranza che lo sostiene.
Una strategia utile anche per deviare l’attenzione della popolazione dalla drammatica situazione economica. Nel terzo trimestre di quest’anno il Pil è diminuito del 5,1% e la valuta nazionale, la hrvina, ha dimezzato il suo valore dall’inizio del 2014, con un’inflazione ormai al 20%.
“Gloria all’Ucraina?” dice Valja, pensionato di 76 anni, riferendosi a uno slogan di Maidan “Gloria per che cosa? Per prezzi più alti? Per la guerra. Siamo al limite di tolleranza nei confronti delle autorità” (da Bloomberg.com).
Poroshenko e gli altri oligarchi non hanno alcuna intenzione di ascoltare i pensionati e la povera gente. Spalleggiati da Usa ed Ue la prospettiva più probabile è una nuova offensiva contro le Repubbliche del Sud-Est. D’altra parte, il conflitto non si è mai fermato, visto che sono mille le vittime dall’inizio del cessate il fuoco del 5 settembre.
Una nuova offensiva avrebbe conseguenze tragiche per l’esecito ucraino, che non è affatto equipaggiato per una campagna d’inverno, inedita in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale. Una sconfitta porterebbe a una probabile crisi di governo e all’aumento assordante del rumore di sciabole, che è già forte all’interno dell’esercito. All’inizio di novembre infatti il battaglione “Dnepr-1” ha minacciato di rovesciare il governo con un colpo di mano se non verrà attuato il programma di Maidan. Le forze di estrema destra e ultra-nazionaliste non sono state affatto depotenziate dal voto del 25 ottobre, ma oggi hanno parlamentari, posizioni di comando nei servizi segreti, nella polizia, in tutto l’apparato dello Stato.
Questa nuova ondata di isteria nazionale potrebbe avere l’effetto di rafforzare le tendenze separatiste delle Repubbliche del Sud-Est. Il dibattito è aperto a Donetsk e Lugansk. Separarsi dal resto del paese, cercando l’aiuto di Mosca (che non sarebbe affatto gratuito e nemmeno disinteressato) o estendere il movimento “anti-oligarchi” anche all’Ovest, attraverso un’appello che parli degli interessi comuni dei lavoratori su ambedue i fronti? Dalla vittoria di uno di questi due schieramenti passa il futuro dell’Ucraina. O la barbarie derivante dallo smembramento della nazione o il protagonismo operaio che travolge nazionalismo e fascismo.
In questo scontro di forze vive, tutti i nostri sforzi internazionalisti sono volti alla vittoria di questa ultima ipotesi.