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L’editoriale di Alberto Burgio “Un passo oltre la palude” (il manifesto, 30 ottobre) riassume con encomiabile sintesi l’abisso che separa una concezione e una pratica classista, comunista, rivoluzionaria dal piagnisteo riformista. Vale quindi la pena di leggerlo per trarne (a contrario…) le dovute conclusioni. La ricostruzione degli ultimi vent’anni è sommaria a dir poco: una “lenta agonia della sinistra italiana (e non soltanto)”.

Del Partito della Rifondazione comunista rimane solo una cosa: alcune migliaia di militanti. Non esiste un gruppo dirigente che possa dirsi tale, non una linea politica, non un’azione coordinata. Non c’è più il quotidiano, sono finiti i fondi, le sedi sono in vendita, l’apparato in via di smantellamento. I voti sono gli stessi di Democrazia Proletaria negli anni ’80 e il numero di attivisti non è di molto diverso.

Per il partito di classe

Dopo la sconfitta, quale strada per il Prc?

La discussione sulla sconfitta elettorale di Rivoluzione civile e sul futuro di Rifondazione comunista fin qui avvenuta va completamente ribaltata. Per il gruppo dirigente fallimentare che ancora guida il partito tutto nasce e si esaurisce nella domanda “che ne sarà di noi?”.

 

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