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Indonesia: la rivoluzione asiatica è cominciata

Dopo 35 anni cade Suharto

 

La crisi economica delle ormai ex-tigri asiatiche sta manifestando ora i suoi risvolti sociali e politici, dopo aver rovinato la vita di milioni di lavoratori licenziati nell’area ora fa la sua prima vittima illustre: il presidente indonesiano Suharto. Adesso si unisce alla grande famiglia dei dittatori scaricati dall’imperialismo, in buona compagnia, insieme a Mobutu, Marcos, Somoza, i Duvalier, e lo stesso Saddam Hussein.

La notizia delle dimissioni di Suharto ha scosso tutto il mondo. Per 35 anni questo tiranno sanguinario ha governato l’Indonesia con il pugno di ferro, dopo aver preso il potere passando sui cadaveri di più di un milione di persone. Ora è stato spazzato via come una foglia nel vento. L’imponente movimento di massa degli studenti e dei lavoratori ha ottenuto una grande vittoria.

La stampa, al solito, cerca di nascondere la situazione reale dipingendo un quadro generale di caos ed anarchia, ma gli strateghi del capitale sanno che quello che sta avvenendo non è una semplice rivolta, bensì l’inizio di una rivoluzione. Bisogna che tutti i lavoratori coscienti sappiano bene cosa sta succedendo in questo paese strategico per l’Asia.

 


 

Da un giorno all’altro il mondo ha "scoperto" che Suharto è un dittatore sanguinario che ha macellato milioni di persone. Gli imperialisti si mangiano le mani e fanno appello per la pace e per la democrazia, ma è tutta una farsa ipocrita. L’occidente ha sempre saputo che cos’era Suharto e lo ha appoggiato sempre in tutto. Nel 1965 quando è salito al potere passando sui cadaveri di più di un milione di comunisti, l’occidente ha girato il capo dall’altra parte, ma in privato ha applaudito al macello e vi ha attivamente partecipato. La Cia fornì all’esercito indonesiano nomi e indirizzi di tutti i comunisti conosciuti e simpatizzanti che furono uccisi allora.

L’Indonesia, come le altre tigri, era portata come esempio brillante di quanto il capitalismo potesse fare per il progresso dei paesi sottosviluppati.

Come tutte le altre borghesie dei paesi ex-coloniali, quella indonesiana è corrotta fino al midollo. Dopo 50 anni di "indipendenza" non ha risolto nessun problema strutturale, né la questione agraria, né quella nazionale, né quella della modernizzazione né quella della democrazia, e nemmeno ha ottenuto una vera indipendenza. È arrivata troppo tardi sul palcoscenico della storia per giocare un ruolo progressista, debole come era poteva solo giocare il ruolo dello scagnozzo dell’imperialismo internazionale. La dimostrazione più lampante di questo è il saccheggio delle ricchezze della nazione da parte della famiglia Suharto e dei suoi tirapiedi che posseggono e controllano una grossa fetta dell’economia, tanto che nonostante le sue enormi risorse nazionali, la quarta nazione del mondo per popolazione è costretta a elemosinare le mance del Fmi. È questo il risultato di mezzo secolo di indipendenza borghese dell’Indonesia!

I fatti d’Indonesia vanno letti nel contesto della crisi asiatica, che ha colpito questo paese in maniera particolarmente dura.

Gli aumenti dei prezzi hanno seguito milioni di licenziamenti, causati dal collasso dell’economia e dalla svalutazione della rupia. Il disagio è aumentato nel paese quando il governo ha abrogato i sussidi ai beni di prima necessità, seguendo le direttive del FMI, in cambio di misure per il risanamento economico. Il reddito pro capite misurato in dollari è crollato del 60% negli ultimi 6 mesi.

Il ministro dell’energia e delle miniere, Kuntoro Mamgkusubroto, ha riconosciuto che gli aumenti provocheranno grossi disagi per la gente, ma ha sostenuto che questa resta la strada migliore tra una serie di alternative "dolorose". Le "dolorose" scelte hanno prodotto risultati che ne’ il governo, né i suoi amici stranieri, né i leader dell’opposizione borghese avevano previsto, un’esplosione sociale spontanea ed immediata. A Medan, capitale del nord di Sumatra, i disordini sono esplosi poche ore dopo gli annunci del governo, nell’escalation conseguente 170 negozi sono stati distrutti o saccheggiati, 38 auto e 21 moto bruciate.

 

Movimento anticinese?

 

Un aspetto che e stato enfatizzato dai media è stato l’attacco ai negozi dei cinesi. Non è una novità, i cinesi che sono il 3% dei 202 milioni di persone che vivono in Indonesia, dominano il settore commerciale e controllano l’80% delle 163 società quotate a Jakarta. I cinesi sono stati oggetto di discriminazione da sempre, a volte anche in forme violente, esacerbate dal fatto che molti ricchi uomini d’affari cinesi sono grandi sostenitori di Suharto. Per le masse disoccupate ed affamate del sottoproletariato urbano la tentazione di saccheggiare i negozi è irresistibile. Tragicamente sono i commercianti più piccoli a pagare di più.

Non è necessario spiegare che bruciare negozi è tutt’altro che attività rivoluzionaria, essendo piuttosto sintomo di rabbia e disperazione degli strati sociali più disagiati che intendono in questo modo vendicarsi sulla società per la loro condizione.

 

Inizia la rivoluzione

 

Il movimento è partito dagli studenti, e questo non sorprende. Sebbene gli studenti e gli intellettuali non possano giocare un ruolo autonomo nella società, essi sono un barometro molto sensibile degli umori delle masse.

"Molte persone non possono dire quello che dicono gli studenti - scrive il Guardian - ma li appoggiano e sono felici che lo facciano per loro, dice Ikrar Musabhakti , un ricercatore dell’ Istituto Scientifico Indonesiano" (13 Maggio 1998). La protesta degli studenti si è allargata a molte zone dell’ Indonesia, nonostante i duri avvertimenti del generale Wiranto, capo delle forze armate indonesiane, e le rigide misure della polizia.

Quando le masse prendono coraggio e coscienza della propria forza, non hanno più paura della repressione ed il destino del regime è segnato: senza armi, senza organizzazione, senza nemmeno un programma o una prospettiva chiara, questi giovani hanno combattuto la polizia e l’ esercito, ed a volte li hanno anche respinti.

Gli studenti hanno dimostrato notevole coraggio ed iniziativa. In una zona hanno addirittura improvvisato una "brigata motorizzata": "Studenti di una dozzina di facoltà hanno preso parte agli scontri ad Ujungpandang, nel sud di Sulawesi. A migliaia convergevano nella piazza della città in moto o con altri veicoli, ma sono stati respinti dalla polizia, allora si sono dispersi ed hanno moltiplicato gli assembramenti in città. " (Kompas 8/5).

 

Contrasti nel regime

 

Come in ogni rivoluzione, alla pressione dal basso seguono contrasti nel regime. I falchi invocano la repressione più feroce, le colombe il compromesso. Suharto, terrorizzato dal’ improvviso sollevamento delle masse, ha cercato di fare marcia indietro, annullando gli impopolari aumenti dei prezzi dei carburanti e dell’ elettricità, richiesti dal FMI. Ha cercato per qualche tempo di " giocare " ad offrire riforme, ma non ci ha creduto nessuno.

Il Jakarta Post del 7/5, ha riportato le parole dell’ ex ministro Siswono Yudohusodo sulla necessità di immediate riforme politiche ed economiche, sollecitando la necessità di un rimpasto di governo per alleviare la crisi. "In alcuni campi, la riforma è indispensabile dal momento che ulteriori ritardi potrebbero generare le richieste di cambiamenti drastici rivoluzionari". Queste parole sono una testimonianza importantissima di quello che pensano davvero alcuni settori della classe dominante: dobbiamo immediatamente fare riforme dall’ alto, per prevenire la rivoluzione dal basso.

Le defezioni dal regime si estendono anche a sostenitori storici di Suharto, come il presidente del parlamento "in un momento rivoluzionario, dopo una vita di obbedienza cieca a Suharto, che ha governato per più di 30 anni, Harmoko, presidente del parlamento, sostiene che l’anziano dittatore dovrebbe ritirarsi per l’ unità e la stabilità dello Stato" (The Guardian 19/5). Il generale Wiranto ha cercato di ammorbidire la protesta, dicendo agli studenti che le loro richieste di riforme politiche erano allo studio e che quindi potevano anche smettere di protestare. I suoi appelli sono stati ignorati, il movimento ricava forze fresche e nuovo vigore da ogni passo indietro del regime. Lungi dal placarla, le offerte di concessioni hanno corroborato la rivolta, essendo stati interpretate correttamente come segno di debolezza.

Straordinaria non è solo l’ impetuosità del movimento, ma anche la velocità con la quale si è sviluppata la coscienza, passando rapidamente dalla protesta elementare contro il peggioramento degli standard di vita a vera e propria protesta politica. "Nella capitale almeno 500 studenti si sono riuniti nel campus dell’ istituto di formazione insegnanti, nella zona est di Jakarta bruciando un ritratto di Suharto, incolpandolo della crisi economica che sta colpendo la nazione. Hanno celebrato un processo simbolico nel quale la "Corte straordinaria del popolo" ha accusato Suharto di strage e di corruzione. L’accusa era di omicidio di almeno un milione e mezzo di persone tra i massacri del ‘65-’66, di Timor Est nel ‘65, dei cosiddetti misteriosi omicidi dell’ 83 e della rivolta di Tanjung Priok nell’ 84. Gli studenti l’ hanno ritenuto colpevole e condannato a morte (Deutsche Presse- Agentur 8/5/98).

Le contraddittorie affermazioni del generale Wiranto dimostrano chiaramente le spaccature e le esitazioni della classe dominante, che sono il primo sintomo della rivoluzione. La seconda condizione per la rivoluzione è che la piccola borghesia e gli stati intermedi della società siano indecisi tra il mantenimento dello status quo e la rivoluzione. La grande maggioranza della classe media ha voltato le spalle al regime o sta attivamente combattendo contro di esso, come mostra il movimento degli studenti.

La terza condizione è una classe operaia disposta a lottare per un cambiamento radicale della società. Quella indonesiana, è già scesa in campo, ma manca il fattore decisivo: un partito rivoluzionario ed una leadership capace di fornire l’organizzazione necessaria, il programma e le prospettive che uniscano il movimento e lo portino alla conquista del potere.

Gli slogan di tale partito sono evidenti: fabbriche ai lavoratori, la terra a chi la lavora, per una soluzione giusta e democratica del problema delle nazionalità, per il ripudio di tutti i debiti esteri e la nazionalizzazione di tutte le proprietà degli imperialisti senza indennizzo, per la confisca delle proprietà della cricca corrotta di Suharto e dei suoi figli, per uno sciopero generale rivoluzionario che rovesci il regime, per la formazione immediata di comitati di lavoratori, contadini, soldati e studenti, eletti democraticamente, che tengano nelle loro mani il funzionamento dell’industria, dello Stato, della società. Solo la democrazia operaia può ripulire la società dal marcio accumulato nel tempo, ed iniziare la marcia verso una società socialista.

Tale movimento può vincere solo su basi internazionaliste: il rovesciamento della schiavitù e del capitalismo nell’Asia e nel resto del mondo. La vittoria del proletariato indonesiano trasformerebbe immediatamente la situazione nell’Asia. Malaysia, Thailandia, Corea sono in crisi, e nel caso di una vittoria degli operai e dei contadini indonesiani, i loro fragili regimi capitalisti dovrebbero affrontare potenti movimenti rivoluzionari. Si aprirebbe la strada all’allargamento della rivoluzione al resto dell’Asia.

 

Ruolo della classe operaia

 

La classe operaia indonesiana è molto forte, una volta organizzata sotto la bandiera della rivoluzione socialista sarà imbattibile, infatti se esistesse un vero partito comunista, starebbe già lavorando per prendere il potere. Questo non è avvenuto proprio per la mancanza del fattore soggettivo.

Il partito comunista indonesiano (PRD) sta attirando gli elementi più avanzati e coraggiosi tra gli studenti ed i lavoratori, i cui eroismo ed abnegazione sono fuori discussione, ma per vincere non bastano. Per vincere c’è bisogno di un programma rivoluzionario serio e di prospettive corrette. Purtroppo i dirigenti del Prd, non mette no all’ordine del giorno la conquista del potere da parte della classe operaia, alleata con i contadini, ma guardano alla cosiddetta "borghesia illuminata" per trovare insieme una via d’uscita. Su questa strada c’è solo la sconfitta!

La lotta per la democrazia si può vincere solo lottando fino alla fine del capitalismo e delle oligarchie, e per far questo la classe operaia deve prendere il potere nelle sue mani, espropriare i latifondisti ed i capitalisti, e trasformare, con la rivoluzione, la società.

Gli studenti migliori stanno già traendo le conclusioni necessarie dalla loro esperienza, racconta l’Australian Green Left Weekly (No. 318): "Akiko, una studentessa, descrive la situazione a Jakarta dicendo che gli slogan per la democrazia si stanno sostituendo con quelli per la rivoluzione, e chiedendo aiuto in tutto il mondo perché si cambi il governo indonesiano ed i prigionieri vengano rilasciati". Le influenze rivoluzionarie crescono tra i giovani e tra i lavoratori.

Ci saranno nuove manifestazioni, non solo di lavoratori ma anche di contadini, crescerà lo spirito di ribellione anche tra i militari. Infatti non appena i soldati capivano che stare dalla parte delle masse significa un futuro migliore anche per loro, che non si tratta dunque di rivolte, ma di seri tentativi rivoluzionari, il loro atteggiamento è cambiato radicalmente. Invece di sparare sulle manifestazioni, le sorvegliano, sorridono, fraternizzano con i dimostranti. Gli studenti hanno dimostrato ottimo istinto tattico, hanno fraternizzato con i militari, tanto che la situazione è ritenuta molto pericolosa dallo Stato maggiore, che riceveva dall’alto ordini contraddittori. Il genero di Suharto, capo delle truppe d’assalto, chiedeva un’azione di forza, mentre altri generali facevano appello alla calma ed al buon senso.

Nonostante questo gli elementi pro Suharto sono pronti all’uso della forza. Questo è stato dimostrato dal fatto che, alla vigilia della manifestazione di massa del 20/5, quelle unità che avevano fraternizzato con i manifestanti sono state ritirate da Jakarta e rimpiazzate con elementi più sicuri. Commentando questo, il Sunday Times scrive: "Il trasferimento di alcuni battaglioni riflette il disaccordo tra gli ufficiali superiori su come gestire la protesta montante contro il regime. Alcuni sanno che perderanno tutto insieme alla famiglia Suharto, altri sperano che l’esercito possa garantire una transizione pacifica, e, naturalmente, altri vorrebbero far carriera." (17/5). El Pais riporta un incidente nel quale un soldato ha sparato sui manifestanti ed è stato picchiato dagli altri soldati, mentre il suo superiore si è dovuto scusare con i manifestanti. Se le masse fossero organizzate per prendere il potere, l’esercito si spaccherebbe alla prima occasione.

Le manovre di Suharto

 

Suharto sta manovrando per continuare a governare attraverso Habibie. Questo approfitta ora dello stallo provocato dall’entusiasmo per la caduta del dittatore. I dirigenti dell’opposizione lo hanno riconosciuto subito come legittimo. Questo dirigenti sono terrorizzati dall’idea che il movimento possa spingersi oltre il capitalismo. Tre delle maggiori organizzazioni di studenti hanno condannato la successione: "Rifiutiamo l’elezione di Habibie, perché fa parte del regime" dice Rama Pertama, presidente del parlamento degli studenti all’università di Jakarta.

È impensabile che Habibie duri a lungo, le condizioni disperate delle masse porteranno ben presto a nuovi movimenti rivoluzionari.

La menzogna che viene diffusa è che ora tutti sono per le riforme, anche Suharto. La nazione è "unita". Come nel caso delle elezioni, che credibilità possono avere questi proclami se l’apparato statale resta invariato? Il problema resta: chi farà queste riforme? a quali condizioni si faranno? Il popolo indonesiano conosce troppo bene Suharto per riporre un briciolo di fiducia nella sua "buona fede", quindi il problema non è quello delle elezioni con o senza Suharto, ma il rovesciamento del suo regime e della corruzione e dell’oppressione sulle quali questo si basa. La rivoluzione che stiamo vedendo oggi non finirà qui, durerà a lungo, con alti e bassi, diventerà sempre più radicale, eliminando ogni elemento di regime, processando e punendo tutti i criminali che hanno affamato il popolo e, soprattutto, espropriando le ricchezze rubate al paese.

Non possiamo attenderci tali provvedimenti dall’opposizione borghese. In occidente, Amien Rais, capo del partito musulmano Muhammadiyah, viene proposto come il candidato dell’opposizione democratica. Gli studenti chiedono che Suharto sia incriminato! Sarà difficile placare le masse vista la crisi nella quale ha scaraventato il paese, ed il sangue del quale si è macchiato. Il tempo delle parole, dei proclami, dei discorsi è finito.

 

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