Una burocrazia in affanno - Falcemartello

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XV congresso Cgil

Una burocrazia in affanno

Con la fine delle istanze regionali il XV congresso della Cgil si avvia alla sua conclusione.

Quello che doveva essere il congresso della svolta, così presentato con enfasi dal segretario nazionale Epifani e il leader dell’ex sinistra sindacale (Lavoro Società) Gianpaolo Patta, si è invece dimostrato uno dei peggiori congressi della storia della Cgil, sia per il percorso antidemocratico con cui è stato gestito, sia per le eclatanti spaccature che sono emerse in alcuni dei congressi regionali più importanti come quello lombardo e piemontese.

Una prima considerazione che si può trarre da questo congresso è che sicuramente i lavoratori non lo hanno vissuto per quello che dovrebbe rappresentare: il momento più alto di confronto e decisione della principale organizzazione dei lavoratori del paese. Emerge invece con più forza di prima la certezza che il divario tra il vertice del sindacato e le esigenze dei lavoratori si è così allargato che non passerà ancora molto tempo prima che nuovi e importanti conflitti mettano in discussione l’attuale politica avanzata dal gruppo dirigente della Cgil.

Fin dai congressi di base si è potuto verificare come l’apparato burocratico volesse gestire questo congresso come una formalità. La lista delle manovre e delle vessazioni a cui abbiamo assistito nelle istanze di base è lunga (e ne abbiamo parlato ampiamente negli scorsi numeri della nostra rivista), ma è stato nei congressi provinciali e regionali di alcune delle Camere del lavoro e territori più importanti che si è potuto toccare con mano fino a che punto questo congresso è stato organizzato per legittimare il vertice uscente, sottraendolo a qualsiasi serio dibattito e verifica dal basso.

Come già spiegato precedentemente, il congresso si è confrontato su alcune tesi alternative, due proposte dal segretario nazionale della Fiom, Rinaldini, e una di Patta, esponente della segreteria nazionale della Cgil uscente e coordinatore di Lavoro Società. I risultati ufficiali pubblicati dalla Cgil hanno mostrato come Lavoro Società abbia eroso significativamente il proprio appoggio tra ampie fasce di lavoratori che in passato avevano sperato che la sinistra sindacale fosse un alternativa alla deriva concertativa della Cgil.

I dati finali dei congressi di base dicono che su oltre 5 milioni e mezzo di iscritti, 1.433.624 hanno partecipato al voto. Sono state fatte 54mila assemblee di base nelle quali le due tesi di Rinaldini hanno raccolto il 15%, mentre quella presentata da Patta ha raccolto il 10%.

Questo risultato dice una cosa importante: i voti espressi nei congressi di base (nonostante le manovre) hanno sconfessato il famigerato patto d’intenti sottoscritto dai componenti della segreteria nazionale prima che iniziasse il congresso. Patto che prevedeva che i gruppi dirigenti del sindacato avrebbero dovuto essere definiti in base al risultato dello scorso congresso, dove la maggioranza prese l’80% e la minoranza di Lavoro Società il 20%.

Inoltre su tutto il congresso predomina il pesante dubbio che i dati definitivi non corrispondano a quello che è realmente successo nei congressi di base. I dati sono stati resi pubblici ben oltre un mese dopo la fine dei congressi di base, a causa, si sostiene, del ritardo accumulato nel centralizzare i verbali dei congressi nelle varie camere del lavoro del sud. Prima che i dati ufficiali venissero resi pubblici si avevano solo quelli delle principali regioni del centro nord. Dati che dicevano che avevano votato 600mila lavoratori e che il 20% si era espresso a favore delle tesi di Rinaldini, mentre solo il 7% erano i voti raccolti dalla tesi di Patta. I dati definitivi hanno ridimensionato un risultato decisamente scomodo per la segreteria nazionale della Cgil. Secondo i dati ufficiali, per la prima volta nella storia dei congressi della Cgil il sud supera il nord in termini di partecipazione al voto. In Sicilia vanno a votare molti più lavoratori del Veneto (dove le tesi avevano preso il 25%), a Napoli si vota più che a Bologna, e in Calabria più che nel Piemonte. Per la prima volta nella storia della Cgil le zone più industrializzate del paese vengono superate da quelle meno industrializzate. E guarda caso i dati arrivati con ben un mese di ritardo mostrano dei risultati sul voto che contraddicono in modo significativo quelli che erano stati i risultati delle zone del paese più sindacalizzate.

Inoltre, non essendo previsto dal regolamento un collegamento automatico tra voti presi dalle tesi e delegati eletti alle istanze superiori, nei congressi provinciali e regionali abbiamo potuto constatare una platea congressuale significativamente diversa dal voto espresso dai congressi di base. Per esempio in Lombardia le tesi Rinaldini avevano preso il 20%, ma esprimevano solo il 12% dei delegati, mentre Lavoro Società che aveva una platea di delegati pari al 18% aveva preso appena il 13% dei voti nella base.

Non c’è da stupirsi se poi in congressi importanti come quello della Camera del lavoro di Torino, o quelli regionali di Piemonte e Lombardia (che da sola conta circa un quinto degli iscritti di tutta la Cgil) siano finiti nel modo peggiore per Epifani, con tre liste contrapposte (maggioranza, Lavoro Società e tesi Rinaldini), con tanti saluti al congresso unitario.

Burocrazia in affanno

Il fatto che questo congresso sia stato gestito in modo così burocratico conferma quanto da tempo si può toccare con mano tutti i giorni nei luoghi di lavoro. Il vertice sindacale è lontano mille miglia da quelle che sono le esigenze e i bisogni dei lavoratori. Questo divario, che si approfondisce giorno dopo giorno, ha mostrato nel congresso non solo l’incapacità della burocrazia di saper dialogare coi lavoratori, obbligandola a ricorrere alle peggiori manovre burocratiche per sbarrare la strada a chi qualcosa ai lavoratori aveva da dire, ma mostrava anche nel corso del congresso quanto inconsistenti sono stati i documenti presentati dalla burocrazia nel dibattito.

Abbiamo potuto verificare come ogni volta che nei congressi di base si ponevano questioni brucianti, come ad esempio la questione dello scippo del Tfr, che il sindacato propone di far confluire nelle pensioni private, oppure contratti indecenti come quello firmato a gennaio per le telecomunicazioni, non c’era alcuna risposta da parte degli esponenti della maggioranza. Al di là delle parole e di un documento assai fumoso, sono questi esempi pratici ed attuali a dimostrare come la maggioranza della Cgil, checché ne dicano i presentatori della tesi “civetta” di Patta, non sia affatto uscita dalla logica concertativa e non sia disposta neppure a una seria verifica democratica di scelte che si sanno essere impopolari nelle fabbriche.

Per una nuova sinistra sindacale

Come da tempo spieghiamo non sarebbe stato questo il congresso da cui sarebbero uscite le risposte ai bisogni reali dei lavoratori. Questo congresso ci dice semplicemente che il distacco tra i vertici sindacali e la base dei lavoratori, giorno dopo giorno continua ad aumentare. Il fatto che debbono ricorrere quasi esclusivamente alle manovre burocratiche per annullare le voci fuori dal coro è una dimostrazione di quanto la loro autorità sia compromessa.

Ma la storia non finisce certo con questo pessimo congresso, nel quale tuttavia, a dispetto di ogni problema, siamo riusciti a far udire le nostre posizioni a un numero di lavoratori molto più ampio che in passato. Ben presto arriveranno i momenti delle scelte, particolarmente una volta passate le elezioni politiche. I padroni vogliono passare all’incasso e blindare il sindacato in un nuovo patto concertativo, ancora peggiore di quelli del 1992-93. La sinistra sindacale di cui c’è urgente bisogno nascerà dai luoghi di lavoro, dalle prossime lotte, e sarà lì che si mettetteranno alla prova non solo le posizioni della maggioranza, ma anche quelle di chi, come Rinaldini, pur avendo proposto al dibattito posizioni più avanzate, ha dimostrato coi fatti di essere ben lontano dal poter offrire una reale alternativa a Epifani, come mostra la vicenda del contratto dei metalmeccanici da poco firmato.

La battaglia tutta in salita che stiamo conducendo in questo congresso va vista in questa prospettiva: iniziare a raccogliere le forze necessarie per creare questa alternativa. Il crollo di una falsa sinistra come era quella di Lavoro Società è in questo senso un fatto positivo, poiché pone fine a un equivoco durato troppo a lungo.