La Rivoluzione Bolivariana compie nuovi passi contro il capitalismo, espropriando latifondi e fabbri - Falcemartello

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La Rivoluzione Bolivariana compie nuovi passi contro il capitalismo, espropriando latifondi e fabbriche

Editoriale de "El Topo Obrero", periodico della Corrente Marxista Rivoluzionaria - (Venezuela)

 

Durante le ultime settimane, l’offensiva nella cosiddetta “guerra al latifondo” e i nuovi espropri di imprese hanno avuto un nuovo impulso in Venezuela, cosa che ha polarizzato il Paese, con i mezzi di comunicazione al servizio della borghesia che si stanno preparando ad una specie di crociata in difesa della proprietà privata.

Con l’esproprio dell’impianto di lavorazione del pomodoro della Heinz a Monagas, del mattatoio Fribarasa a Barinas, di Promabasa (i silos di proprietà di Alimentos Polar) a Barinas, dello zuccherificio Comanacoa e della fabbrica di tubi Sidororca, così come nel settore contadino l’esproprio del fondo La Marqueseña e interventi simili in vari latifondi in lungo e in largo nel Paese, ha condotto l’oligarchia sul piede di guerra spingendola a tentare di mobilitare le deboli forze dell’opposizione.

Con un’intensa campagna mediatica, facendo leva sui timori della piccola borghesia nei confronti della perdita delle sue proprietà (la qual cosa non è in nessun modo all’ordine del giorno delle espropriazioni dei mezzi di produzione proposte dai marxisti rivoluzionari), la borghesia cerca di rianimare la propria base sociale.

Bisogna ricordare che la Ley de Tierras (una legge sulla riforma agraria, ndt) fu uno dei detonatori del colpo di Stato del 2002 ed è un tema chiave per il capitalismo venezuelano. Se a questo aggiungiamo l’esproprio di varie aziende e l’annuncio di riformare il concetto di proprietà privata contenuto nella Costituzione Bolivariana una volta conquistata la maggioranza qualificata nell’Assemblea Nazionale, risulta chiaro perché mai la classe dominante e l’imperialismo stiano accelerando il passo della propria azione per arrestare la “minaccia socialista”.

La scorsa domenica 25 [settembre], i notiziari dei principali mass-media interruppero le loro trasmissioni regolari per metterci in contatto diretto con la piazza, dove, secondo quanto annunciato, “il popolo venezuelano protestava contro quest’assalto alla proprietà privata da parte del Presidente Chávez”. Si trattava di piccoli concentramenti di settori della classe medio-alta nelle principali città del nord del Paese (Caracas, Valencia, Maracaibo ecc.). In tutte le manifestazioni si gridavano slogan contro gli espropri e contro Chávez, che in quel momento trasmetteva il suo Aló Presidente dal latifondo espropriato La Marqueseña affinché non restassero dubbi che queste terre fossero state requisite e divise tra ottanta famiglie contadine.

Anche la Chiesa, da fedele serva delle classi dominanti, ruolo che ha sempre ricoperto in tutta la storia, ha lanciato una campagna di attacchi nei confronti di queste recenti misure che colpiscono il capitalismo in Venezuela. Tra i protagonisti di tale campagna figura il presidente della Fundación Consciencia Activa, il rabbino e massimo rappresentate della Chiesa ebraica nel Paese, Pynchas Brener. Secondo El Nacional, Brener ha dichiarato da Maracaibo che il rispetto per la proprietà privata esiste sin da tempi antichi, altrimenti le Sacre Scritture non si sarebbero riferite alla violazione di questo diritto in uno dei principali comandamenti: Non rubare!! Ha continuato dicendo: “In questo Comandamento di Dio si riconosce implicitamente il diritto alla proprietà privata come diritto inalienabile dell’essere umano”. È parte della strategia della classe dominante volerci far credere che questo sistema di oppressione in cui viviamo sia esistito da sempre e per sempre debba esistere, come una specie di “legge divina”.

La campagna mediatica, come era da aspettarsi, ha ricevuto sostegno anche dai padroni del Nordamerica. L’ambasciatore statunitense Brownfield ha dichiarato a Globovision che gli espropri sono un affare “interno e sovrano” del Paese “se sono conformi al diritto internazionale” e ha aggiunto che quanto sta avvenendo nel Paese “senza alcun dubbio avrà un impatto non solo sulle imprese private degli Stati Uniti, ma anche su quelle di tutti gli altri Paesi del mondo”. L’imprenditore e presidente della Conindustria, Eduardo Gómez Sigala, da portavoce della borghesia “nazionale”, si è a sua volta unito a questo coro reazionario, avvertendo che gli espropri finiranno per “condurre ad uno scontro e questo influenzerà l’umore degli investitori. Chiamiamo gli industriali a difendere le loro proprietà con la veemenza richiesta dal caso. Indubbiamente non possiamo dire le cose a metà su questo problema. Noi venezuelani che abbiamo costruito questo Paese abbiamo messo in piedi industrie, aziende e case e dobbiamo difenderle per il bene delle future generazioni”. Il colmo del cinismo è stato raggiunto quando gli imprenditori (quegli stessi che ci spremono fino all’ultimo per riempirsi le tasche col frutto del nostro lavoro) hanno espresso “profonda preoccupazione” per i lavoratori delle imprese e delle terre espropriate, così come per il futuro delle loro famiglie, come se il benessere della nostra classe fosse mai stato una volta preso in considerazioni quando tagliano il personale per massimizzare i loro profitti!

Il governo nazionale espropria La Marqueseña e vari latifondi

L’iniziativa del governo nazionale, che ha eseguito un censimento di circa 2.157 tenute che corrispondono a 7 milioni di ettari, ha determinato che 3.658.123 ettari sono latifondi. Questo significa che l’INTI [Istituto Nazionale delle Terre] ha previsto di intervenire in 317 tenute. Come diceva Genaro Méndez, presidente di Fedenaga, l’associazione padronale di latifondisti e allevatori, “il problema non è La Marqueseña, i fondi che sono in gioco sono quelli di tutto il Venezuela; assumeremo la difesa di tutti i produttori”.

Il Ministro dell’Agricoltura e delle Terre, Antonio Albarrán, ha informato che nel programma di riscatto delle terre previsto per quest’anno figurano un totale di 7 fattorie. Si tratta di Jovito (Apure), Los Cocos (Apure), San Pablo Paeño (Apure), La Bendición, Ramera, La Marqueseña (Barinas), La Vaca (Guárico) e Barrera (Carabobo): in totale 1.740.000 ettari. Saranno seguite da altre negli stati di Bolívar e di Carabobo. La fattoria La Vergareña, con più di 180.000 ettari, sarà la prossima ad essere espropriata. In totale si prevede che nel 2005 si intervenga su mezzo milione di ettari.

In risposta a questi passi in avanti contro il latifondismo in Venezuela, i sicari degli agrari hanno sparato contro l’abitazione del Ministro Albarrán a Sabaneta (Barinas), all’alba di mercoledì scorso. I proiettili penetrarono nella camera della figlia che fortunatamente è rimasta illesa. “Non ho intenzione di cedere di fronte a questa, né di fronte a nessun’altra pressione, che cerchi di impedirmi di portare avanti la guerra contro il latifondo”, ha assicurato il Ministro. Più di 180 contadini sono stati assassinati negli ultimi sette anni di rivoluzione dai sicari dei proprietari terrieri, per cercare di impedire che ottengano la terra che appartiene loro di diritto. Ora vorrebbero applicare la stessa ricetta al Ministro dell’Agricoltura e delle Terre.

Giorni fa, martedì 13, il presidente di Fedecamaras, José Luís Betancourt, ha letto un documento della massima organizzazione imprenditoriale del Paese nel quale si esige “la cessazione immediata di azioni arbitrarie ed illegali contro la proprietà privata, la restituzione delle proprietà sottratte ai loro legittimi proprietari, il rispetto del diritto al lavoro degli operai e dei lavoratori delle imprese su cui si è intervenuto”. E poi: “Un Venezuela senza proprietà privata è un Venezuela senza libertà, senza democrazia, senza dignità e senza settore privato. Un Venezuela senza settore privato è un Venezuela condannato alla fame e alla povertà”, sentenziava il comunicato. Il problema è che sono precisamente le catene che ci impongono lo Stato nazionale e il carattere privato dei grandi mezzi di produzione a condannare milioni e milioni di esseri umani in tutto il mondo alla fame, alla miseria e tutte le altre piaghe che potrebbero essere sradicate rapidamente con un’economia nazionalizzata e democraticamente pianificata.

Le dichiarazioni di Betancourt non sembrano aver intimorito il presidente dell’INTI, Richard Antonio Vivas, che ha affermato che continuerà il processo di distribuzione delle terre: “L’INTI ha come missione lo sradicamento del latifondo dal Paese”. Secondo il governo nazionale al momento si sta producendo il riscatto delle terre del Paese, posto che nella maggior parte dei casi “non si tratta di confische, espropri o interventi arbitrari, bensì di restituzioni”.

Il governo nazionale sta prendendo come base legale per espropriare le tenute il fatto che la maggior parte dei possidenti terrieri non ha titoli di proprietà degli spazi che usurpa. La gran parte di loro hanno via via aumentato a proprio piacimento la grandezza delle loro tenute, appropriandosi indebitamente di terra che era di proprietà dello Stato o di contadini poveri. In questa maniera si è costruita la maggioranza dei latifondi del Paese.

Mercoledì 21, nell’atto di cancellazione del debito di Stato verso 1.049 tecnici aeronautici che si è celebrato nel Palazzo di Miraflores, Chávez ha dichiarato che “non stiamo espropriando che il necessario […] I latifondisti si credono padroni di tutto, però non sono padroni di niente, perché i padroni sono tutti i venezuelani”. Allo stesso tempo ha segnalato che, secondo le informazioni in suo possesso, “il 99% dei latifondisti non ha titoli di proprietà validi, così quando costoro sono stati convocati dalle autorità preposte, non hanno potuto produrre alcun documento che attesti la proprietà delle terre che hanno occupato”.

Riferendosi alla corruzione, ha alluso a “tutto ciò che rimane del vecchio Stato che cerca di infiltrarsi nello Stato nuovo che sta nascendo. Bisogna uscire dallo Stato di arbitrio, poliziesco ed elitario che ha sequestrato i diritti del popolo”. In seguito ha raccomandato alle autorità di tenere d’occhio i banchieri, perché “sembra che un gruppo di loro si arricchisca alle spalle della gente”.

 

Venepal doveva essere un’eccezione, invece in Venezuela continuano gli espropri

Lo scorso 17 luglio, il Presidente Chávez ha riportato che nel Paese esistono 700 imprese improduttive e 1.149 che operano al 50% della propria produttività e che il governo avrebbe espropriato quelle che non funzionano. Da allora non si è presa alcuna misura effettiva per mettere in pratica questa promessa. Tuttavia nelle ultime settimane sembra che le cose comincino a muoversi nella direzione esposta dal Presidente due mesi fa.

Giovedì 22 [settembre], il Consiglio Legislativo dello Stato di Balinas ha esortato il governatore Hugo de los Reyes Chávez affinché dichiarasse di pubblica utilità (passo preparatorio all’esproprio) gli stabilimenti di Empresas Polar in quello Stato. Il governatore regionale dichiarò che “non esiterò a firmare qualsiasi decreto o altra misura a beneficio del popolo”. Il lunedì successivo, effettivamente, il governo regionale ha espropriato i silos di proprietà di Remavenca, filiale di Empresas Polar, mettendo così fine a tutte le discussioni. Di fatto, l’accordo al quale si era arrivati venerdì con i dirigenti di Polar (secondo il quale l’impresa non sarebbe stata espropriata) venne fatto saltare e lo Stato prese possesso degli impianti. Il consiglio di amministrazione di Polar ha rilasciato dichiarazioni che definivano queste azioni come un sopruso e una violazione della proprietà privata.

Su questa linea, lo scorso lunedì 26 settembre, l’Assemblea Nazionale in una seduta ordinaria dichiarò “imprese di pubblica utilità sociale” lo zuccherificio Cumanacoa e la Sidororca (che si occupa di produrre tubi per il settore petrolifero), passo preparatorio all’espropriazione affinché fossero consegnate ai lavoratori sotto il modello della cogestione. Entrambe le aziende avevano alle spalle diversi anni di inoperatività e perciò i lavoratori si erano fatti avanti a sollecitarne la riapertura. L’annuncio dell’esproprio fu fatto dal deputato José Khan, che, insieme a Nicolás Maduro, aveva ricevuto qualche giorno prima i lavoratori in manifestazione.

Lo stesso giorno un gruppo di lavoratori di Oxidor (una raffineria petrolifera privata), nella zona industriale di Valencia, aveva occupato l’impianto di questo compagnia per protesta contro la paralisi dell’attività rivendicando un equo accordo per il contratto collettivo. José Romero, presidente del sindacato, ha assicurato: “Stiamo da sei mesi senza lavorare. Abbiamo deciso di prendere in parola il Presidente ed occupare l’impresa per rivendicare i nostri diritti”. Gli stessi lavoratori hanno sollecitato l’esproprio dell’impresa e la sua riattivazione sotto “Controllo Operaio e Popolare”. Giorni prima, i lavoratori di una fabbrica di guanti dello Stato di Amazonas si trovarono sotto minaccia di arresto dopo aver per diverse settimane occupato gli stabilimenti della Mi Guante, chiusa ed abbandonata dai padroni. Dobbiamo anche ricordare la battaglia che portano avanti i lavoratori di Snacks America Latina in tutto il Paese, specialmente nello Stato di Lara e nello stabilimento di Aragua, dove ancora una volta il sistema giudiziario venezuelano ha provato quale sia la classe a cui presta servizio. Quello a cui stiamo assistendo è una ripresa di lotte operaie ovunque nel Paese che, sebbene per il momento siano generalmente isolate, implicano l’entrata in scena della classe in questo processo rivoluzionario.

Si acutizzano le contraddizioni del capitalismo

Recentemente, il Presidente Chávez ha avvertito la CanTV, principale compagnia telefonica del Venezuela, che “la CanTV è obbligata a saldare i debiti con i suoi dipendenti […] e se non lo fa, per quanto potenti si credano i suoi padroni, si dovrà usare la spada e l’acido della legge”; così ha commentato Chávez durante una cerimonia nella quale stava rimborsando arretrati sullo stipendio a ex funzionari dell’aeroporto di Maiquetia, un pagamento che, come quello della CanTV, è stato ordinato dal Tribunale Supremo di Giustizia. Chávez ha detto che la compagnia deve 279 milioni di dollari ai suoi pensionati e che la decisione del massimo tribunale cercava di restituire il diritto a “pensioni degne” agli impiegati della CanTV.

Mercoledì 21 [settembre], il Presidente Chávez ha annunciato avrebbe revocato tutte le concessioni ad imprese straniere che operano nelle miniere nazionali. “Voglio dire al Paese che nel cammino verso il recupero della sovranità economica del Venezuela avanzeremo in maniera più ferma e precisa. Da poco, per esempio, abbiamo deciso, dopo aver visto questo e quello, di annullare tutte le concessioni mineriare. Non daremo più concessioni né altro alle multinazionali. No, no, no. Ci stanno fregando”, ha detto il Presidente Chávez. Il prezzo azionario di Cystallex International è caduto ieri del 44% nel mercato canadese, per fermarsi ad 1,2$, il prezzo più basso mai raggiunto dal giugno 2003, mentre le azioni di altre società minerarie presenti nel Paese come Gold Reserve e Bolívar Gold si sono ridotte di un 28% e un 13% rispettivamente nella giornata successiva.

I controlli sui prezzi, specie nel settore alimentare, non sono serviti a frenare l’inflazione, anzi, al contrario, sono stati precisamente i prodotti calmierati che hanno subito i maggiori aumenti. Questo, nonostante le concessioni fatte dal governo in rapporto alla carne e ad altri prodotti che gli imprenditori avevano lasciato all’ammasso o sui quali semplicemente avevano imposto il prezzo che volevano senza che lo Stato reagisse, a parte le lamentele espresse dal Presidente in uno dei suoi programmi domenicali. L’esproprio dei silos di Promabasa, che stavano per essere smantellati da Empresas Polar, è stato usato come scusa per provocare una scarsità artificiale di prodotti a base di mais (farina per arepas - uno tra i cibi più tipici dei venezuelani - ecc.).

Solo questo cammino porta al socialismo del XXI secolo

Stiamo assistendo ad un’offensiva del governo nazionale contro i proprietari terrieri e i capitalisti, sebbene al momento solo parziale, che incontra naturalmente le simpatie e l’appoggio dei lavoratori e dei contadini. Non serve far altro che osservare la campagna isterica dell’oligarchia sui mezzi di comunicazione borghesi circa il sacro diritto alla proprietà privata che l’esecutivo nazionale (secondo loro) vuole violentare. Questi parassiti e speculatori che “difendono la ricchezza nazionale” esportando valuta o mantenendo sottoutilizzata la maggior parte delle fabbriche e delle terre del Paese, si lamentano perché il governo bolivariano sta strappando ciò che non appartiene a loro bensì al popolo, e che loro non sono capaci di far funzionare. I capitalisti non possono portare avanti il Paese. Siamo noi, la classe lavoratrice e i contadini, a poterlo fare, come stanno dimostrando i lavoratori di Invepal o Alcasa e di migliaia di cooperative contadine sparse per tutto il Paese.

Tutti questi sono enormi passi in avanti, ma il governo non deve fermarsi qui. Il Venezuela non può progredire mentre la terra, le fabbriche e le banche continuano a rimanere nelle mani dei capitalisti. La soluzione ai problemi del popolo venezuelano può essere possibile solamente sulla base della proprietà statale dei mezzi di produzione e la pianificazione democratica dell’economia di fronte al caos e all’anarchia che genera il capitalismo. Questa è l’unica maniera possibile di dispiegare un vero sviluppo economico di fronte al sabotaggio economico dei proprietari terrieri e dei capitalisti. Ed è anche l’unico modo di costruire il “socialismo del XXI secolo”.

5 ottobre 2005.