Analisi delle elezioni in Israele
I risultati delle elezioni in Israele parlano chiaro: Netanyahu esce vincitore dalla scommessa delle elezioni anticipate. Il Likud guadagna seggi rispetto alla legislatura precedente, mentre la sinistra globalmente non riagguanta quanto gli era stato scippato nella scorsa tornata dal neonato partito populista centrista Lapid. Apparentemente sorprendente il risultato della Lista Unita, ma solo ad un osservatore che non sia riuscito a cogliere il lento, ma inesorabile cambiamento in atto nella società.
Dunque come valutare questi risultati: si è verificato il migliore od il peggiore degli scenari possibili? Era l'inverno della disperazione o la primavera della speranza? Tale è la natura altamente frammentata e divisa del panorama politico israeliano, che la notte delle elezioni è stata in grado di fornire un alto numero di vincitori, così come pure di vinti e perché no, anche un barlume di speranza per il futuro.
Rimonta
Innanzitutto: come ha potuto Netanyahu recuperare in poco meno di due settimane, molto del dissenso che si era palesato? Davvero nella più classica battaglia tra speranza e paura, gli israeliani hanno scelto la paura? Netanyahu ha dimostrato una volta per tutte che la paura è l'alleato più forte o c'è di più?
Iniziamo sottolineando che quasi la totalità della campagna elettorale della colazione laburista guidata da Avoda - Unione Sionista - si è incentrata su questioni sociali ed economiche, questioni che realmente sono al centro del dibattito sociale ormai da tempo.
Allora dove e come sono stati perduti voti e fiducia?
E' bene ricordare che Tzipi Livni e Isaac Herzog, i due principali esponenti della coalizione, non sono proprio politici dalla casacca illibata: la Livni è stata per molto tempo ministro e fondamentale esponente proprio del guerrafondaio Likud, mentre Herzog proviene da una delle famiglia più importanti e ricche di tutto il paese. Aggiungiamo che è costata molto cara la scelta cosciente di evitare di trattare a fondo il tema della sicurezza, forse per non scendere sul difficile terreno del conflitto, proprio mentre Meretz e Lista Comune facevano di tale argomento il centro della loro campagna. Di fatto Unione Sionista si è vista scippare sostegno decisivo per la vittoria sia a destra che a sinistra, da chi più coerentemente rappresentava le sue stesse proposte.
Analizzando il percorso di avvicinamento all'election-day, diffusa era l'idea che l'ex Likud Moshe Kahlon, leader del Kulanu, potesse essere una bomba ad orologeria pronta ad esplodere tra le mani di Netanyahu, potendo fungere da catalizzatore del dissenso che aleggiava - nemmeno molto velatamente - all'interno dello schieramento di maggioranza. Non è così che sono andate le cose, anzi il Likud ha fatto meglio che nella scorsa tornata. Oggi Netanyahu può puntare a ricucire con il suo ex-partner populista: Kahlon coprirà il “fianco sociale” del Likud, lasciando il primo ministro libero di perseguitare Iran, insultare il presidente americano Barack Obama, deridere le democrazie europee e – se va bene - garantire la stasi totale su tutto ciò che ha a che fare con un'eventuale soluzione del conflitto palestinese.
Netanyahu è stato abile a sviluppare una campagna elettorale basata quasi fino alla fine esclusivamente su questioni di sicurezza, stimolando l'elettorato tramite la più classica tattica della rievocazione dei lutti e delle paure vissute durante l'ultimo conflitto della scorsa estate. Proprio nelle ultime due settimane però, il tema centrale della campagna è cambiato radicalmente, virando su questioni di welfare: sono piovute come dal cielo proposte per alloggi e beni alimentari più economici, nonché di fantomatiche riforme sociali mirate ad alzare il tenore di vita degli israeliani (ebrei s'intende). Ecco che “Panem et Circenses” si è dimostrata una linea politica del tutto attuale anche nel sistema borghese mediorientale!
Fortissimi gli ultimi attacchi portati ai suoi rivali con l'utilizzo di toni davvero violenti, proprio sul terreno della sicurezza, accusandoli tra le altre cose di ingenuità e creduloneria, vulnerabilità alle pressioni estere e che avrebbero lasciato Israele esposto ai suoi nemici. Tutto ciò senza citare le continue dichiarazioni razziste e omofobe. Il Likud si è proposto nuovamente come il bastione protettivo che può resistere alle pressioni, non conta da dove queste possano provenire (financo dalla Casa Bianca) per garantire la sicurezza del paese, non importa quanto brutali, immorali o razziste possano essere le azioni che si dovranno intraprendere.
Per finire, Bibi ha fatto pubblicare il giorno delle elezioni un esilarante, sicuramente d'effetto, ma enormemente razzista video-messaggio, nel quale si richiamava l'elettorato a difendere Israele dalle “masse arabe portate a votare con autobus dalla sinistra pagata dall'Europa”, invocando a difesa di Israele, oltre all'aiuto della gente, anche quello di Dio. Ovviamente non possiamo quantificare quanto tale appello possa aver fatto breccia nella popolazione, di sicuro l'evidente cannibalizzazione del Likud dei voti dei partiti di estrema destra e di quelli religiosi dimostra che l'idea del voto utile ha permeato la società.
Chi ha votato chi?
Se centro e sinistra moderata non sono riusciti a guadagnarsi credibilità sufficiente, come mai la sinistra radicale non ha intercettato parte dell'elettorato scontento? Innanzitutto il voto utile ha mietuto vittime anche a sinistra: forte era la pressione, palpabile specialmente nei grandi centri urbani, per riuscire a mandare a casa Bibi e la sua cricca.
Ma soffermiamoci un attimo ad analizzare lo studio dei dati che l'Ufficio Centrale di Statistica Israeliano propone, come dopo ogni tornata elettorale.
Tale studio segmenta il paese in decili basati su variabili come il reddito pro capite, il numero di auto nuove acquistate, la percentuale di studenti, il rapporto tra residenti e disoccupati, dividendo così il paese in aree geografiche classificate socio-economicamente (10 ricchi – 1 poveri). Una volta aggiornati geograficamente i decili, si passa ad analizzare i dati delle singole sezioni, città per città, definendo un gradiente abbastanza accurato della distribuzione del voto dei singoli partiti all'interno dei decili stessi. Analizzando i dati sorgono interessanti osservazioni circa le differenze tra l'elettorato del Likud, di Unione Sionista e delle altre forze politiche.
L'Unione Sionista sembra aver avuto il suo più alto tasso di sostegno (53%) in Kfar Shmaryahu, una delle tre città nel 10° e più ricco decile. Tale percentuale cala nelle 33 città dei decili da 10 a 8 attorno al 34,8%. Essa è arrivata prima nell'85% delle città di questi decili con 5 eccezioni: Alfei Menashe, Oranit e Mevasseret Zion dove invece il Likud è arrivato primo, e Elkana e Givat Shmuel dove primo è arrivato Habayit Hayehudi (estrema destra). Nella maggior parte di questi 33 città il modello è simile: Unione Sionista prima, Likud secondo e Yesh Atid terzo. Nel complesso dunque il Likud ha ottenuto solo il 22,9% dei voti nelle città economicamente più forti.
Il 7° decile è considerato quello della classe media e include città come Ramat Gan, Nes Ziona e Haifa. Qui l'Unione Sionista ha vinto in 7 delle 12 città, mentre il Likud ha preso le restanti 5. Scorrendo più in basso sulla scala, scopriamo che il Likud ha primeggiato in quasi tutte le città considerate classe media e medio-bassa, vincendo in 13 delle 15 città nel 6° decile, in 31 su 33 nel 5° e in 15 su 17 nel 4°. Le città non vinte dal Likud in queste aree hanno visto generalmente vincere Habayit Hayehudi.
Il Likud non ha solo decisamente vinto in Cisgiordania, ma anche e soprattutto nella periferia all'interno della Linea Verde, segnando vittorie decisive in città come Sderot (42,8%), Ashkelon (39,8%), Or Yehuda (40,5%), Ramle (39.8%), Tiberiade (44,5£) e Kiryat Shmona (39,9%), anche grazie alla costante pressione dei conflitti a cui queste zone sono costantemente sottoposte per motivi di confine, non solo in tempo di fermento militare. (I dati citati sono stati estrapolati da 2 articoli di Haaretz e 1 di Israel Hayom. I dati grezzi divisi per seggio, sezione e città sono disponibili al seguente indirizzo: http://www.votes20.gov.il/cityresults)
L'analisi che ci sentiamo di proporre scorrendo questi dati è la seguente: la sinistra in toto, sia questa moderata laburista, sia questa più radicale, affondano le radici della loro base sociale per la maggior parte nelle città più economicamente sviluppate del paese e tra classi con un livello di ricchezza e quindi di scolarizzazione medio-alto. In assenza da tempo di una vera e propria politica sociale credibile di sinistra, la destra dilaga dove il conflitto e la crisi economica mordono più forte, alimentando razzismo e omofobia. Inoltre, anche citando il video messaggio di autocritica registrato da Zehava Galon, leader del Meretz, probabilmente nelle forze di sinistra si è sviluppata una tendenza all'autoreferenzialità, anche a causa delle difficoltà a proporre un certo livello di dibattito nelle zone dove imperano povertà e rigidità religiosa.
Aggiungiamo che forse questo ha portato ad una vera e propria separazione, col conseguente isolamento da parte del militante medio di sinistra rispetto alle masse, finendo per risultare quasi “radical chic” agli occhi di quella parte del proletariato e alle nuove generazioni che ultimamente hanno provato a squilibrare la pace sociale che sembra regnare, nonostante tutto.
Oltre ai dati citati, riguardo al Meretz dobbiamo tenere conto che una parte del partito non ha mai negato una certa infatuazione per il segretario di Avoda, Herzog, che li ha portati sempre e comunque a tentare di mantenere aperta una porta alla collaborazione con le forze laburiste - come dichiarato recentemente prima delle elezioni da Mossi Raz, candidato del Meretz, al giornale Il Manifesto – tentativi di collaborazione che però inevitabilmente hanno finito col far perdere credibilità alla proposta politica generale. E' bene specificare inoltre che il Meretz non ha mai nascosto l'idea che Israele debba essere l’espressione del diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione, pur mantenendo una proposta incentrata alla coesistenza con gli arabi e sostenendo l'idea dei “2 popoli, 2 stati”.
Ecco spiegato il flop elettorale e non solo di tutte queste forze.
Tutt'altra storia quella degli arabi.
Meno di due mesi dopo la sua formazione, la Lista Comune – già definita un'alleanza improbabile tra nazionalisti palestinesi, sinistra progressista arabo-ebraica e islamisti - è riuscita nell'inimmaginabile traguardo di diventare il terzo partito dello Stato ebraico.
Questa apparente unità dei ranghi politici arabi che, è bene ricordarlo, sono cresciuti sempre più disillusi e apatici rispetto al processo politico, ha spinto tanti elettori arabi ad andare a votare, tra cui molti dei quali non l'avevano mai fatto prima. Tamer Nafar, famoso cantante dei DAM, una popolare band hip-hop palestinese socialmente e politicamente attiva, ha registrato un video pre-elettorale in cui rappa di non aver mai votato in vita sua, fino ad ora...
La partecipazione delle comunità araba è aumentata di 10 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2013 e il numero dei membri della Knesset che la rappresentano è aumentato da 11 per tre partiti che correvano separatamente, a 13 per un solo fronte unito.
Con il suo background di partito congiunto arabo-ebraico, Hadash sembra aver spostato momentaneamente la coalizione araba lontano dalla politica di identità e isolamento, verso dibattiti su giustizia sociale ed economica universali.
Ayman Odeh , leader dello schieramento nonché esponente di Hadash ha dichiarato: "La nostra Lista Comune prevede l'unificazione di tutte le popolazioni deboli e oppresse, senza distinzione di razza, religione o sesso", ha poi aggiunto: "Saremo un campo alternativo, il campo democratico dove arabi ed ebrei sono soci alla pari, non nemici".(*)
Odeh intende inoltre sostenere la causa dei suoi compatrioti palestinesi nei territori occupati: "Affermiamo che non ci può essere democrazia reale e sostanziale finché non porremo fine all'occupazione dei territori palestinesi. [...] E noi crediamo che solo rispettando il diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e all'indipendenza possa, la società israeliana, essere liberata da questo peso etico, economico e sociale."(*)
Diana Buttu, intervistata da Haaretz ha dichiarato: "[Questo è] un risultato molto migliore rispetto al cosiddetto governo di sinistra che si travestirebbe da agnello con la copertura della comunità internazionale, ma perpetuerebbe lo status quo e la continua costruzione di colonie in Palestina". Inoltre ha aggiunto circa la Lista Comune che il suo percorso non potrà che essere duro e sempre sull'orlo del fallimento: "Affrontano una battaglia in salita. Ovviamente non si uniranno ad alcuna coalizione in quanto non possono essere partners dell'occupazione, ma forse saranno la nostra punta di lancia, premendo contro la legislatura razzista"(*).
“Ci auguriamo che la Lista Comune possa avere un profondo impatto sulla politica palestinese”, sostiene Ilan Pappé, storico israeliano, intellettuale, studioso comunista e anti-sionista, sempre su Haaretz. Aggiunge: "L'Autorità Palestinese e i rappresentanti palestinesi nella Knesset sono formazioni che sembrano essere assoggettate ad una nuova logica, nuova rispetto alla classica proposta dei due popoli due stati. Dato che le possibilità e le prospettive di tale soluzione sembrano scomparire ogni giorno di più, abbiamo dunque tutti bisogno di una nuova strategia."(*)
E quale potrebbe essere questa nuova strategia? “Una lotta per i diritti civili che fornirà un vero nuovo tipo di direzione da seguire per essere parte di un futuro migliore"(*) crede Pappé.
E' bene ricordare che la natura di questo schieramento è ancora altamente eterogenea: le formazioni islamiche nazionaliste al suo interno sono un carico che dovrà essere disperso il prima possibile, con la forza della dialettica e delle proposte politiche concrete, che altrimenti fungerà solo da freno inibitore alle potenzialità generali delle proposte in campo. Le dichiarazioni dei leader di Hadash al momento paiono dimostrare che, almeno a loro, la strategia da intraprendere è chiara.
Quale futuro prossimo?
Siamo davanti ad un periodo difficile, dove il Governo composto da sola destra, senza nemmeno una parvenza al suo interno di scudo democratico fatto da formazioni di centro o sinistra, certamente inasprirà le politiche di guerra, razziste e di attacco allo stato sociale. Sicuramente assisteremo all'enfatizzazione del carattere ebraico dello Stato, a discapito del carattere democratico, nel tentativo di ovattare il dibattito apertosi da tempo sul welfare. Difficilmente il Likud riuscirà a dare risposte concrete alle rivendicazioni e alle richieste che le lotte scoppiate da un anno a questa parte hanno prodotto, portandole fino alla soglia del dibattito politico nazionale. Il diritto alla casa, il calo drastico del potere d'acquisto dei salari, il costo dei beni di prima necessità, i diritti dei lavoratori: la crisi internazionale sembra aver fatto breccia in modo definitivo anche nella roccaforte Israele. Aspettando i nuovi dati sullo studio del costo dei beni primari e del potere d'acquisto dei salari in Israele, vi invitiamo a leggere il nostro articolo “L'Israele che non ti aspetti”.
Dall'altra parte, sembra iniziata una fase di lotta per uguaglianza e diritti sociali da parte degli arabi. Il tempo della propaganda è finto per la Lista Comune, è ora necessario che questa si candidi come vera opposizione sociale. In questo schieramento, dove le idee marxiste potrebbero trovare spazio di discussione sfruttando il palco del Maki (partito comunista) da dentro Hadash, ci auguriamo che Odeh riesca a rompere definitivamente il giustificabile ma deleterio muro dell'orgoglio arabo, allontanando gli estremisti islamici incalzandoli politicamente, riuscendo ad allacciare col Meretz rapporti, non solo timide occhiate, che scatenerebbero sviluppi sicuramente molto proficui per i palestinesi, gli israeliani e per la lotta di classe.
(*)traduzione libera
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