Imperia: lo stabilimento pasta Agnesi, la più antica fabbrica di pasta, attiva dal 1824 sta per chiudere. È solo l'ultima di una serie di fallimenti aziendali sul territorio, che vanta una storia industriale non indifferente: ItalCementi, Sasso, industrie del ferro, Borelli, porto commerciale di scalo delle auto Fiat negli anni 60 sono solo alcune delle attività industriali ad oggi scomparse in nome della speculazione edilizia marchiata Claudio Scajola e soci, lasciando la città nella desolazione, con oltre 17mila disoccupati sul territorio.
La chiusura dell'Agnesi, una delle ultime fabbriche a resistere, non è quindi un fulmine a ciel sereno e le avvisaglie si vedono da qualche anno, dapprima con la cessione alla Colussi e con la conseguente delocalizzazione di alcuni settori e, ora, con il rischio di chiusura. La vertenza è iniziata già durante l'inverno con la chiusura del mulino dell’Agnesi, che macinava con poca spesa il grano arrivato via mare (la fabbrica è a 150 metri dal porto), portando al taglio di 28 posti di lavoro, a meno controlli sulla qualità e ancor meno lavoro per gli operai portuali, spinti sempre di più verso la privatizzazione del porto. Ad oggi sono coinvolti tutti i 150 lavoratori dell'azienda e gran parte della cittadinanza: si sono susseguiti scioperi durante tutto il periodo estivo, con l'azienda schierata a minacciare la chiusura anticipata dell'azienda. Chiusura confermata dall'azienda ai sindacati già a giugno, con lo spostamento della produzione a Fossano, e la presentazione un progetto, caduto poi nel nulla, che avrebbe previsto la produzione a Imperia di sughi, paste fresche e paste tipiche.
La vertenza tuttavia non si ferma, fino ad arrivare alla convocazione di uno sciopero di quattro giorni (22/25 ottobre). Queste le parole di una lavoratrice dell'azienda:«La pasta Agnesi non si vende non per mancanza di rendimento, ma perché l’azienda non investe e non innova. Dopo il famoso slogan pubblicitario del “Silenzio, parla Agnesi”, tutto è andato in decadimento. Alcuni reparti sono stati chiusi, la gente mandata a casa. Eppure siamo tutt’altro che in perdita». Insomma, è la solita ricetta utilizzata dai padroni di questo Paese: sfruttamento massimo dei lavoratori (all'Agnesi si lavora anche di sabato), zero investimenti, zero innovazione e, quando ormai l'area diventa poco produttiva, delocalizzazione, svendita o chiusura.
Le uniche proposte messe in campo per ovviare alla chiusura da parte dei vertici Cgil (e di quelli di Sel) sono i soliti appelli al dialogo, chiedendo aiuti al comune (e il caro sindaco Capacci ha detto che “non dovete scioperare perché farete brutta impressione ai giapponesi in visita”, che tra l'altro non vogliono investire) o al ministro Poletti, mentre Rifondazione si limita a proporre il boicottaggio dei prodotti Colussi.
Noi crediamo che l'unica strada da percorrere sia quella dell'occupazione della fabbrica da parte dei lavoratori, i quali sono certo in grado di gestirne la produzione, come hanno fatto per tutti questi anni di muta sottomissione.
RIPRENDIAMOCI L'AGNESI, RIPRENDIAMOCI IMPERIA!