Il campo politico borghese s’è ricompattato. Lo scontro elettorale tra i liberisti “laici” di Appello per la Tunisia del neo-presidente Essebsi e gli altrettanto liberisti, ma islamisti, di Ennahda, ala tunisina della Fratellanza musulmana, è sfociato in un governo di unità nazionale. Più dell’80% del parlamento ha votato la fiducia al governo Essid.
L’unica forza politica significativa all’opposizione è la sinistra del Fronte popolare (Fp). Nel Fp, tuttavia, si erano espresse per l’alleanza con Essebsi importanti componenti, ad esempio gli ex-maoisti dei Patrioti democratici uniti. Una lacerazione del Fp è stata impedita, sostanzialmente, dalla decisione di Appello per la Tunisia di allearsi con Ennahda. Nella nuova compagine governativa, inoltre, tre ministri a testa sono andati all’Unione patriottica libera dell’affarista Slim Riahi, arricchitosi in Libia, e all’ultra-liberista Orizzonte della Tunisia.
Il governo s’è mosso compattamente per contrastare lo sciopero degli insegnanti delle superiori – che ha bloccato totalmente gli esami trimestrali di marzo –, la rivolta contro la disoccupazione ed i mancati investimenti nella provincia interna di Thala, sfociata in uno sciopero ad oltranza, o i tumulti di Dehiba, insorta per chiedere l’annullamento, poi ottenuto, d’una tassa sul passaggio della frontiera con la Libia considerata nociva per il commercio, principale attività di quella zona. Alcuni mesi fa, una voce ascoltata nella sinistra riformista italiana, Giuliana Sgrena, scriveva che la vittoria dei “laici” di Essebsi avrebbe potuto “ridare una spinta alle forze rivoluzionarie” (il manifesto, 28 ottobre 2014). Anche in Tunisia, dunque, a cercare il “male minore” e il “voto utile” si finisce piuttosto male.
Gli orientamenti economici strategici del governo sono cristallini: pagamento integrale del debito interno ed estero, interessi compresi, privatizzazione delle aziende confiscate al clan Ben Ali e allargamento degli accordi di libero scambio con l’Ue nei servizi e nell’agricoltura. I prestiti sottoscritti dalla Tunisia nel 2015, circa 2,3 mld di euro, serviranno così per i loro due terzi a ripagare interessi sul debito. Guarda caso, tra i primi creditori della Tunisia contiamo la Banca europea per gli investimenti e la Francia. Quella spesa equivale al sestuplo di quanto viene speso per la sanità ed al triplo delle risorse destinate al-
l’istruzione. Nell’ultimo accordo per 300 milioni di euro di prestiti stabilito con l’Ue, i “democratici ed illuminati” borghesi europei hanno preteso che la Tunisia s’impegnasse a privatizzare banche pubbliche ed a cancellare sovvenzioni statali su beni di prima necessità. Il debito pubblico tunisino è quasi raddoppiato dall’inizio della rivoluzione e si attesta al 59% del pil.
Il governo di unità nazionale è, al momento, la scelta più in sintonia con la volontà della classe dominante. Nel paese monta la collera, nei primi dieci mesi del 2014 si sono registrati più scioperi che nell’anno fino ad allora record del 2011, quello del rovesciamento di Ben Ali.
Il 47% di tali scioperi non ha rispettato i preavvisi stabiliti dalla legge. Le rivendicazioni più ricorrenti riguardano aumenti salariali e la stabilizzazione dei precari, ad esempio nel bacino minerario di Gafsa. Nei siti della Compagnia generale del fosfato si sono registrate tra le 63 e le 309 giornate interessate da scioperi! Nell’equazione socio-politica tunisina, un punto di domanda riguarda l’evoluzione del principale sindacato operaio, l’Ugtt. Negli ultimi due anni, la sua direzione è stata l’artefice del precedente governo tecnico e del “Dialogo nazionale”, promosso assieme all’associazione padronale (Utica). I frutti amari di questa linea di collaborazione di classe sono stati, tra gli altri, il raffreddamento dei rapporti con l’importante Unione dei diplomati e laureati disoccupati e l’adesione non ufficiale allo sciopero generale proclamato a Thala contro il governo. L’Ugtt ed il Fronte popolare saranno messi ripetutamente alla prova dalle masse nel prossimo periodo. La “realizzazione degli obiettivi della rivoluzione”, espressione molto in voga nella sinistra tunisina, spingerà giovani e lavoratori a scartare ogni via interna al capitalismo ed alla sua illusoria democrazia parlamentare. La talpa continua a scavare.