Il 25 ottobre in piazza a Roma ci siamo sentiti al posto giusto, e un po’ soli. Non fraintendete: non ci sentivamo per nulla soli nell’abbraccio della classe lavoratrice che si risvegliava dall’inverno coatto di questi anni, quando il nostro spezzone studentesco veniva accolto fra i metalmeccanici della Fiom in piazza Esedra, quando lungo tutto il corteo in tanti si giravano per vedere chi fossero questi giovani che dal primo all’ultimo minuto scandivano uno slogan dopo l’altro, per l’unità studenti-lavoratori, contro il Pd, per lo sciopero generale. Ecco, forse più che soli ci siamo sentiti i soli, ad essere nel posto giusto e nel modo giusto.
Dopo i cortei studenteschi del 10 ottobre, che hanno segnato un parziale risveglio anche del movimento studentesco, abbiamo portato un’idea chiara nelle assemblee: bisogna saldare il fronte, bisogna portare gli studenti il 25 a Roma. Altrimenti come si può pensare di fermare la riforma della scuola, o la legge di stabilità che taglia altri 600 milioni di euro all’istruzione? O come si dovrebbe fermare il Jobs act e i continui attacchi ai giovani disoccupati e (forse) lavoratori precari? Ma poi, è possibile che qualcuno pensi ancora che si tratta di questioni separate, e non veda che si tratta di fare un unico fronte contro Renzi e la classe dominante? Sì, è possibile e ce lo siamo sentiti dire da più di una struttura movimentista; a Milano addirittura ci hanno intimato di non farci vedere alle assemblee perché “qui si parla dei medi, e i lavoratori non c’entrano niente”. Punta di un iceberg autonomo e disobbediente non pervenuto al corteo. Permetteteci di dispiacerci, compagni, se avete passato una giornata a riordinare questo o quel centro sociale invece di essere in piazza con un milione di lavoratori.
Altri hanno difeso l’unità fra studenti e lavoratori, e di questo ci rallegriamo, ma poi neanche loro ci hanno tenuto compagnia in piazza. È il caso del Fronte della gioventù comunista, che ha investito solo sullo sciopero dei sindacati di base. Valeva davvero la pena, compagni, isolarsi da soli da quel fiume di lavoratori del 25, per far vedere quanto sapete marciare ordinati in fila per sette in cortei di mille persone? E poi rinunciare quando i numeri sono cento o mille volte superiori? Se si vogliono difendere le idee del marxismo (e non dello stalinismo), non basta scegliere una tonalità rosso-fuoco della bandiera per farlo. Bisogna capire che le organizzazioni di massa della classe lavoratrice hanno un ruolo non scavalcabile, e bisogna stare lì per portare le idee della rivoluzione.
Già, perché i dirigenti di quelle organizzazioni non le portano di certo e accodarsi solo a loro non è la soluzione. Per questo non si trattava solo di esserci, ma anche di esserci nel modo giusto. Altrimenti si rischia di finire come Rete degli studenti o Udu, coccolati dai vertici sindacali con tutti gli agi del mondo, ma poi a riportare nel movimento studentesco le stesse posizioni moderate (la riforma sì, ma con modifiche; il contributo volontario sì, ma se una parte va a noi), alla continua ricerca di qualche posizione istituzionale a cui morire aggrappati. Giusto stare coi lavoratori e sostenere il sindacato quando mobilita, ma necessario anche spiegare (e poi metterlo in pratica) che solo con una lotta senza compromessi si potrà vincere, con un programma rivoluzionario e il protagonismo della base. Senza questo, si resta alla confusione e alla testimonianza, o a cercare sempre l’ennesima trovata scenografica per attrarre un po’ di visibilità (attivisti di Uds e Link vestiti da calciatori a far torello davanti al ministero “contro la serie A e la serie B, tutti in Champions league” qualcosa vorranno dire...).
Con il 25 si apre un’intera fase in cui il movimento operaio si pone al centro, e la rabbia giovanile – la famosa generazione senza futuro – può trovare uno spazio per esplodere e un punto di gravità, la classe lavoratrice, attorno a cui compattarsi. Uscire dalla ritualità per cui fatta la manifestazione ci si saluta e si torna a casa, e invece porsi il problema di come costruire dentro le scuole e le università. Essere un punto di riferimento per chi non piega la testa, militanti che si formino su come si porta avanti una lotta, che la inseriscano in una prospettiva generale contro il sistema capitalista e che portino questa prospettiva nel movimento operaio.
Il nostro lavoro il 10 ottobre, dove siamo stati presenti in venti città, convocando cortei o presidi, organizzando picchetti e spezzoni delle scuole, diffondendo il nostro giornale, chiedendo assemblee alla fine dei cortei per coordinare il movimento, rilanciando la mobilitazione centrale del 25 ottobre, è stata l’applicazione di questo orientamento.
Di nuovo, il 25 ottobre, con compagni arrivati da ogni parte d’Italia, dietro allo striscione “Senza lavoro, senza diritti, senza futuro: senza paura”, abbiamo fatto un altro passo avanti. Oggi torniamo in tutte le scuole e università per portare queste lezioni, dare ancora più forza alle nostre idee e prepararci alle prossime mobilitazioni. Orgogliosi di rimetterci al passo della lotta di classe internazionale – con un pensiero ai compagni in Messico che abbiamo voluto scrivere sul nostro striscione “Todos somos Ayotzinapa” – e coscienti di doverci porre all’altezza dei compiti che abbiamo davanti, e che nessun altro assolverà per noi.