Dall’America Latina verso gli Stati Uniti, dall’Africa subsahariana verso il Nord e l’Europa, dall’Asia centrale alla Russia, dal sud-est asiatico verso l’Australia; le rotte che i migranti seguono cercando pace, lavoro e futuro sono numerose ed irte di pericoli. Ma la più letale – secondo il rapporto 2014 appena pubblicato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) – è quella che attraversa il Mediterraneo.
Più letale del sole del Sahara e delle correnti del Mare delle Andamane, il familiare mar Mediterraneo, il “nostro” mare, ha mietuto tra gennaio e settembre di quest’anno 3.072 vittime, a fronte delle 4.077 vite spezzate in tutto il mondo durante il valico di un confine o una traversata. I tre quarti netti. E si tratta chiaramente di cifre riguardanti solamente gli incidenti conosciuti.
Un anno fa, il 3 ottobre 2013, morirono nel naufragio di Lampedusa 366 fra uomini, donne e bambini; la più grave catastrofe marittima nel Mediterraneo degli ultimi 14 anni. Il governo Letta rispose a questa emergenza inaugurando l’operazione militare umanitaria Mare nostrum, che ha visto la Marina militare italiana potenziare i pattugliamenti nel Mediterraneo centrale ed impiegare le proprie risorse per il salvataggio dei migranti in mare. I militari coinvolti in questa operazione dal 18 ottobre 2013 al 18 settembre 2014 hanno soccorso 138.866 migranti, principalmente salpati dalla Libia. Non è difficile spiegare la crescita parallela del numero di persone soccorse e del numero di persone decedute: l’aggravarsi della situazione internazionale ha fatto ovviamente lievitare il numero di persone che decidono di abbandonare il loro paese alla ricerca di una vita dignitosa. Afghanistan, Sud Sudan, Eritrea, Pakistan, Nigeria: questi sono solo alcuni dei paesi di provenienza di questi profughi, paesi tormentati da decenni di conflitti armati e violazioni sistematiche dei diritti umani, a cui si stanno aggiungendo in questo periodo palestinesi e soprattutto siriani.
Questi casi forniscono l’esempio sicuramente più chiaro di come i conflitti internazionali sponsorizzati o provocati dall’imperialismo siano all’origine del fenomeno migratorio; i razzisti europei contribuiscono in ultima analisi a fomentare lo stesso problema che ai loro occhi giustifica il loro odio.
Notizia recente è la sostituzione dell’operazione Mare nostrum con l’operazione intereuropea Frontex plus. Il ministro Alfano ha sbandierato la creazione di Frontex plus come un grande successo, specie dopo l’adesione di Francia, Spagna e Germania, lodando in particolare l’obiettivo della distruzione delle barche usate dai trafficanti di uomini. La commissaria Ue Malmström, però, ha clamorosamente smentito le ragioni di questo entusiasmo qualche settimana più tardi. Infatti, nonostante Frontex plus vada ad integrare missioni esistenti (Hermes ed Enea), le navi europee non si spingeranno più in acque internazionali, ma rimarrano nelle acque territoriali con un mandato specifico di controllo, non di soccorso umanitario – un enorme passo indietro rispetto alle opzioni, pur sempre d’emergenza, introdotte da Mare nostrum.
Come se non bastasse, l’adesione dei paesi della Ue a Frontex plus sarà su base volontaria e il meccanismo rimane troppo aleatorio e non vincolante. Il punto più importante, però, è probabilmente il fatto che le legislazioni europee per il trattamento di migranti e rifugiati, come la famigerata convenzione di Dublino che regolamenta le competenze nella verifica delle richieste d’asilo, sono rimaste inalterate. “Fortress Europe” rimane dunque sostanzialmente inalterata e questo perché è funzionale da un lato ad avere una manodopera a basso costo e al ricatto dell’intera classe lavoratrice, e dall’altro ad usare l’immigrato come capro espiatorio.
Il progetto Frontex plus ancora non è tecnicamente cominciato, ma è già stato bersagliato di critiche da varie istituzioni, da Amnesty international al sindaco di Lampedusa. Si è già rivelato per quello che è: una sottile mano di vernice che non basterà a coprire le mura insanguinate della “fortezza Europa”.