Dopo la manifestazione nazionale “Stop invasione” del 18 ottobre a Milano, i mass media hanno dato ampio risalto al successo popolare dell’iniziativa leghista anti-immigrati, arrivando ad ipotizzare che Salvini possa essere l’unico leader in grado di salvare il centrodestra dopo il crepuscolo del berlusconismo. In questi ragionamenti ci sono sicuramente elementi di esagerazione: il numero dei partecipanti in piazza Duomo è stato sicuramente ingigantito e di certo non è stata data la stessa attenzione mediatica alla grossa contro-manifestazione delle forze politiche anti-razziste che ha attraversato le vie della città lo stesso giorno. è però innegabile che la Lega Nord di oggi sia ben lontana da quel partito che qualche anno fa era allo sbando e sul punto di scomparire a causa degli scandali della famiglia Bossi.
Le ragioni della risalita della Lega di Salvini vanno rintracciate nella sua capacità di intercettare il malcontento di tutto un settore della piccola borghesia rovinata dalla crisi. Il populismo reazionario al centro della propaganda leghista è riuscito a far presa non solo sul ceto medio impoverito, ma anche sui settori popolari più esasperati. Le posizioni razziste contro gli immigrati hanno trovato un terreno fertile in una situazione di alta disoccupazione, tagli ai servizi sociali e impoverimento generale. Le campagne contro l’euro hanno raccolto consensi importanti di fronte alle politiche di austerità portate avanti dall’Unione europea. Salvini ha saputo dare anche un carattere sociale alla sua demagogia con l’obiettivo di attecchire tra i lavoratori, come è avvenuto in occasione del referendum promosso contro la riforma Fornero delle pensioni o dell’opposizione parlamentare contro il Jobs act.
In questo modo Salvini ha saputo approfittare dello spazio politico lasciato libero dalla crisi delle varie anime del centrodestra, che sono sempre più indebolite dalle sconfitte elettorali, dilaniate dagli scontri interni e attratte nell’orbita di Renzi. Le sparate a difesa della civiltà cristiana contro gli immigrati e contro i diritti degli omosessuali hanno inoltre fatto diventare la Lega un chiaro punto di riferimento per le varie formazioni di estrema destra: non a caso in piazza a Milano il 18 ottobre le organizzazioni fasciste erano presenti in forze e Borghezio è stato eletto al parlamento europeo nella circoscrizione di Roma proprio in virtù dei suoi legami storici con le forze neo-fasciste, che hanno un certo radicamento nella capitale.
A livello europeo Salvini ha stretto alleanza con il Front national di Marine Le Pen, una formazione nazionalista di estrema destra che alle ultime elezioni europee è stata il partito più votato in Francia. Sicuramente nella propaganda i due partiti hanno molti elementi comuni, ma c’è un limite fondamentale che impedirà a Salvini di giocare un domani in Italia lo stesso ruolo che la Le Pen sta giocando oggi in Francia: il fatto che la Lega, nonostante abbia parzialmente accantonato i temi tradizionali federalisti e secessionisti della “Padania libera”, rimane pur sempre una forza politica locale. Mentre alle europee il Front national ha superato il 25 per cento, la Lega ha esultato per aver portato a casa il 6,2 per cento. Nonostante alcuni consensi raccolti anche fuori dal Nord Italia, i sogni di gloria di Salvini si scontreranno sempre con il fatto di non poter rappresentare una realtà politica nazionale in grado di espandersi anche nel Centro-Sud.
Non serve dunque ingigantire la minaccia leghista, è già sufficientemente repellente così com’è. Quello che serve è mettere in campo un’alternativa tanto alle politiche capitalistiche di austerità quanto alla demagogia di Salvini. Il veleno razzista ha avuto gioco facile perché fino ad ora né la sinistra politica né il movimento operaio sono stati in grado di farsi carico degli interessi e dei bisogni dei ceti popolari. Se la Lega con le sue parole d’ordine reazionarie cerca di indirizzare la rabbia sociale verso lo squallore della guerra tra poveri, dobbiamo contrapporle un programma rivoluzionario in grado di unificare la grande maggioranza della popolazione in una guerra contro il dominio sempre più intollerabile delle élite politico-finanziarie.